08/07/11
05/07/11
Malattie rare, il calvario delle famiglie
Malattie
rare, il calvario delle famiglie
Malattie rare: ancora nel 2011 queste parole si trovano ad
essere in qualche modo sinonimo di calvario. Per le famiglie, per le persone
malate. Non si tratta solo del problema prettamente fisico di affrontare
una patologia
quasi sconosciuta, ma anche di quello organizzativo relativo all’ avere a che
fare con una burocrazia lenta e non aggiornata.E spesso solo la rete rappresenta un alleato. Perché i problemi sono molti, la conoscenza poca, e per trovare del sostegno specializzato od ottenere semplicemente una diagnosi, non di rado passano anni.
Vi sono malattie rare tipo la Sindrome di Kabuki, che solo recentemente hanno trovato il giusto sostegno a livello medico. Ma gli specialisti in tal senso sono pochi. E per ottenere delle cure appropriate, bisogna spostarsi, con il conseguente carico economico e di stress. Specialmente se si tratta di bambini. Perché quando si parla di particolari sindromi, sono proprio loro le piccole vittime. Ed immaginate un bambino di qualche mese o di pochi anni sottoposto a veri e propri viaggi della speranza corredati da un continuo avvicendarsi di esami specialistici, risonanze magnetiche.
Uno stress inappropriato, ma necessario. Al quale ovviamente, scoperta la malattia, si aggiunge l’ignoranza della gente. Perché spesso e volentieri i malati di malattie rare sono sottoposti ad un trattamento quasi “razzista”. Squadrati dalla testa ai piedi, quasi in ogni occasione, alla sofferenza fisica debbono aggiungere quella psicologica derivante non solo dall’essere dipendenti da terapie di ogni sorta, ma anche dall’allontanamento, più o meno volontario, da parte dei coetanei.
E se una malattia come la mucopolisaccaridosi, di gravità variabile a seconda della tipologia, porta quasi sempre all’indossare un busto per tentare di mantenere un corretto sviluppo dello scheletro, vi sono tante patologie per le quali, il sistema sanitario nazionale, pur riconoscendole invalidanti, non passa i farmaci.
Ciò che la maggior parte della famiglie lamentano è però la lentezza della burocrazia, ed in qualche modo la sua ignoranza. Essere affetti da una malattia rara nella maggior parte dei casi significa combattere continuamente con gli uffici preposti sul territorio per il riconoscimento dell’invalidità e tutte le pratiche assistenziali ad essa correlata.
Fonte: http://www.medicinalive.com/
firma
04/07/11
Osteogenesi imperfetta
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Riassunto
L'osteogenesi
imperfetta (OI) comprende un gruppo eterogeneo di malattie genetiche
caratterizzate da un aumento della fragilità scheletrica, una diminuzione della
massa ossea e una suscettibilità alle fratture ossee di gravità variabile. La
prevalenza è stimata tra 1/10.000 e 1/20.000. L'età di esordio dipende dalla gravità
della malattia. A livello clinico, sono state identificate cinque forme di OI.
Il segno clinico più rilevante in tutti i tipi di OI è la fragilità
scheletrica, che si manifesta con fratture multiple. L'osteogenesi imperfetta
tipo 2 è letale, il tipo 3 è grave, i tipi 4 e 5 sono moderati e il tipo 1 è
lieve (si vedano questi termini). Il tipo 1 non produce deformazioni ed è
caratterizzato da una statura normale o solo leggermente bassa, sclere blu e
assenza di dentinogenesi imperfetta (DI; si veda questo termine). I pazienti
affetti dal tipo 2 presentano alla nascita fratture multiple delle coste e
delle ossa lunghe, deformità significative, allargamento delle ossa lunghe,
diminuzione della densità cranica sulle radiografie e sclere scure. I segni principali
del tipo 3 sono la statura molto bassa, la faccia triangolare, la scoliosi
grave, le sclere grigie e la DI. Il tipo 5 è caratterizzato da statura da
moderatamente a leggermente bassa, dalla dislocazione della testa del radio,
dalla mineralizzazione delle membrane intraossee, dalla formazione di calli
ossei iperplasici, da scere bianche e dall'assenza della DI. Sono stati
osservati altri tipi geneticamente diversi (tipi 6-9), che non sono
clinicamente diversi dai tipi 2-4. Nel 95% dei casi, l'OI è dovuta alle
mutazioni dei geni COL1A1 e COL1A2 (17q21.33 e 7q21.3) che codificano per le
catene alfa1 e alfa2 del collagene tipo I. Tutti i cinque tipi clinici dell'OI
sono dovuti a queste mutazioni. La trasmissione è autosomica dominante. Sono
state osservate forme autosomiche recessive di OI, dovute a mutazioni dei geni
LEPRE1, CRTAP e PPIB (1p34.1, 3p22 e 15q21-q22). Le forme autosomiche recessive
sono sempre gravi se si associano a ipotonia grave. La diagnosi si basa sui
segni scheletrici ed extra-scheletrici. Gli esami radiologici rivelano
osteoporosi e ossa simil-wormiane. La densitometria conferma la diminuzione
della massa ossea. Le diagnosi differenziali si pongono con le diagnosi
prenatali di condrodisplasia, l'osteoporosi giovanile idiopatica, la sindrome
osteoporosi-pseudoganglioma, le sindrome di Cole-Carpenter e di Bruck, l'iper-
o l'ipofosfatasia, la forma panostotica della displasia fibrosa (si vedano
questi termini), le lesioni non accidentali (fratture multiple senza
osteoporosi) e l'osteoporosi secondaria a terapia, malnutrizione, malattia
metabolica o leucemia. La presenza di fratture multiple non deve essere confusa
con gli abusi sul minore. La diagnosi può essere sospettata in epoca prenatale
mediante ultrasonografia e/o confermata dalle analisi molecolari sugli
amniociti o sui villi coriali, se è stata identificata la
mutazione-patogenetica nella famiglia. La presa in carico deve essere
multidisciplinare (medica, ortopedica, fisioterapica e riabilitativa). La
terapia standard per le forme gravi si basa sui bifosfonati con forti proprietà
di contrasto sull'assorbimento dell'osso, che non sono tuttavia in grado di
curare la malattia. Durante tutta la vita del paziente, è fondamentale la
prevenzione del deficit di vitamina D e di calcio. Il trattamento chirurgico è
essenziale per la correzione delle deformità scheletriche e della colonna e la
prevenzione delle fratture delle ossa lunghe (osteosintesi centromidollare). La
fisioterapia precoce migliora l'autonomia del paziente attraverso la valutazione
dei deficit motori, la riduzione del rischio di cadute e la promozione
dell'attività fisica. La prognosi funzionale dipende dalla gravità della
malattia e dalla qualità della presa in carico. La prognosi quad vitam dipende
dalla gravità delle complicazioni respiratorie associate alle deformità della
colonna. *Autore: Dr. V. Forin (Marzo 2010)*.
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