LIPODISTROFIE NEI PAZIENTI INSULINO DIPENDENTI E CORRELAZIONI CON LE CORRETTE TECNICHE DI INIEZIONE
Come è noto la somministrazione di insulina per via sottocutanea è per una parte dei pazienti affetti da diabete l’unica terapia disponibile ai fini di un controllo glicemico il più possibile vicino ai valori normali. È anche risaputo che un corretto controllo glicemico riduce in modo significativo i rischi di complicanze legate alla patologia diabetica. Negli ultimi anni con l’introduzione di presidi iniettivi sempre più sofisticati si è anche riusciti a rendere la somministrazione di insulina meno traumatica per il paziente, migliorando significativamente la compliance.
Si ritiene comunemente che essendo l’uso dei presidi iniettivi strettamente personale non vi siano rischi di contagio e che per questa ragione le raccomandazioni fornite dai produttori circa l’opportunità di non riutilizzare i presidi medesimi non siano da prendere in seria considerazione.
Il riutilizzo è infatti piuttosto diffuso e, soprattutto per gli aghi delle penne in alcuni paesi europei sono gli stessi medici a consigliare di sostituire il presidio solo quando questo provoca dolore. Riteniamo che esistano fortissime argomentazioni per sconsigliare tale comportamento ed è nostro scopo spiegare dettagliatamente le ragioni per cui il riutilizzo costituisce una pratica da evitare assolutamente.
Comparsa dei noduli lipodistrofici nei siti di iniezione
Con una frequenza superiore a quanto comunemente ritenuto, i pazienti che si iniettano l’insulina sviluppano nel corso degli anni dei noduli sottocutanei detti Lipoipertrofie. Si tratta di noduli composti essenzialmente da tessuto adiposo che oltre ad essere sfiguranti hanno un impatto sui risultati della stessa terapia insulinica.
Le ragioni per cui tali noduli si sviluppano sono tre:
1) presenza di un trauma ripetuto nel tempo causato dalla punta dell’ago;
2) localizzazione di tale trauma in un’area ben circoscritta (sito di iniezione);
3) azione dell’insulina che a livello locale sui tessuti agisce come un fattore di crescita.
Tali noduli hanno due caratteristiche principali:
1) presentano una minore sensibilità al dolore (inducendo quindi il paziente ad iniettare nel nodulo, aggravando così il trauma ed il volume stesso del nodulo);
2) producono un assorbimento dell’insulina erratico e parziale, di conseguenza il controllo glicemico tende a peggiorare e le dosi di insulina richieste tendono ad aumentare nel corso degli anni.
Per ridurre il rischio di sviluppare noduli lipodistrofici o per ridurre il volume di quelli esistenti uno studio effettuato ha dimostrato che occorre applicare i seguenti accorgimenti:
1) evitare di iniettare sempre nello stesso punto, ruotando accuratamente il punto di iniezione di circa 1 cm dal punto precedente (e ciò vale per tutti i siti che il paziente adopera siano essi l’addome, le gambe, le braccia o i glutei). Ad esempio, un paziente che effettua solitamente le iniezioni di insulina rapida nell’addome può dividere l’addome stesso in 4 quadranti ed utilizzare 1 quadrante per ogni settimana del mese, applicando il principio della rotazione all’interno di ciascun quadrante dal 1º al 7º giorno;
2) evitare il riutilizzo degli aghi, in quanto anche dopo una sola iniezione la punta dell’ago subisce delle deformazioni spesso non visibili ad occhio nudo che provocano nei tessuti dei microtraumi, sui quali l’insulina può agire come un fattore di crescita locale promuovendo appunto la formazione dei noduli lipodistrofici.
I pazienti con noduli appartenenti al gruppo che ha applicato per alcune settimane i principi di cui sopra hanno registrato una significativa riduzione del volume dei noduli ed un miglioramento del valore di emoglobina glicosilata accompagnata da un minore fabbisogno di insulina.
Esistono però altre valide ragioni per le quali sconsigliamo vivamente il riutilizzo degli aghi; vediamole in dettaglio:
– Cristallizzazione dell’insulina nella cannula dell’ago - Quando gli aghi vengono riutilizzati l’insulina iniettata nella precedente somministrazione può cristallizzare all’interno della cannula ostruendo del tutto o in parte il flusso nel corso dell’iniezione successiva. Ciò rende le iniezioni più difficili, più dolorose ed allunga il tempo necessario per somministrare l’intera dose. Per coloro che usano una penna che non consente di vedere se l’insulina iniettata è il 100% della dose impostata il rischio è rappresentato dal fatto che si ritenga erroneamente di aver iniettato tutta la dose mentre in realtà una parte dell’insulina prevista non è stata somministrata (spesso i pazienti lamentano una fuoriuscita di insulina dall’ago della penna dopo averlo estratto dalla cute, è esattamente una conseguenza di quanto sopra descritto). È superfluo sottolineare l’impatto che ciò può avere sul controllo glicemico soprattutto con un’insulina ad alta concentrazione (U100) come quella presente nelle cartucce delle penne.
– Presenza di bolle d’aria nella cartuccia di insulina - Si tratta di un fenomeno legato non solo al riutilizzo ma anche alla pratica comune di molti pazienti che non rimuovono l’ago dalla penna subito dopo aver effettuato l’iniezione. Quando l’ago rimane montato sulla penna in pratica esso funziona come una via di collegamento tra l’atmosfera esterna e l’interno della cartuccia. Sottoposta ad un casuale aumento di temperatura (ad esempio in auto) l’insulina contenuta nella cartuccia si espande e minuscole perdite si hanno dalla punta dell’ago; sottoposta ad una casuale riduzione di temperatura (ad esempio all’aperto) l’insulina si contrae e minuscole bollicine di aria entrano nella cartuccia.
È stato misurato che dopo alcuni sbalzi di temperatura la quantità d’aria che entra nella cartuccia può allungare consistentemente il tempo necessario per iniettare il 100% della dose impostata (ciò è dovuto al diverso indice di comprimibilità dell’insulina rispetto all’aria e questo fenomeno è strettamente correlato alla quantità d’aria presente nella cartuccia).
Poiché mediamente la durata dell’iniezione non supera i 5 o 6 secondi può succedere che il paziente crede di aver iniettato tutta la dose impostata mentre solo una parte di questa è stata effettivamente somministrata. Come visto in precedenza ciò ha sicuramente un impatto sulla qualità del controllo glicemico.
In conclusione riteniamo che le motivazioni che possono suggerire a taluni la pratica del riutilizzo (praticità, risparmio) siano ampiamente superate da quanto sopra descritto, ed è nostro convincimento che il maldestro tentativo di ottenere un risparmio nella spesa pubblica promuovendo di fatto tale pratica con una limitazione della quantità di presidi prescrivibili a carica dell’SSN sia nel lungo periodo destinato al fallimento a causa dei maggiori costi legati alla cura delle complicanze della malattia diabetica, senza contare ovviamente il valore della sofferenza umana che purtroppo quasi mai trova posto nella contabilità degli amministratori.
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