Orari di lavoro e turni impossibili ma nessun taglio alle prestazioni
Le 11 ore di riposo giornaliero sono l’elemento più critico della nuova normativa europea recepita con la legge 161/2014 secondo più della metà delle aziende sanitarie italiane. Qualche difficoltà nelle sale operatorie e nei servizi di emergenza c’è stata. Ma nonostante i blocchi delle assunzioni che si protraggono da anni e una popolazione sanitaria sempre più con i capelli grigi alla fine, rimboccandosi le maniche, il sistema ha retto all’impatto del nuovo orario di lavoro europeo. Che impone turni di riposo sacrosanti, ma fino a ieri giudicati poco compatibili con la cronica carenza di organici nella nostra sanità.
La fotografia è contenuta nell’indagine condotta dall’Osservatorio Fiaso sulle politiche del personale nelle aziende del Ssn, che ha valutato l’impatto della legge 161 del 2014 su 55 aziende sanitarie di 13 Regioni.
L’indagine Fiaso- Cergas Bocconi evidenzia che se non si renderanno più flessibili orari e turni di riposo e non si attuerà velocemente il più volte annunciato piano di assunzioni, quelle “criticità trascurabili” su allungamento delle liste d’attesa e riduzione dell’offerta dei servizi, rilevate oggi in circa il 40% dei casi, rischiano di diventare cosa ben più seria e mandare così in tilt il sistema. Che invece ha retto, visto che le problematiche “significative” oggi sono state rilevate appena nell’1% dei casi per le liste d’attesa e nel 2% per l’offerta di servizi.
Le principali novità introdotte dalla legge 161 sono sostanzialmente tre:
1) la durata media dell’orario normale di lavoro non deve superare le 48 ore settimanali, straordinari compresi;
2) ogni lavoratore ha diritto nel corso delle 24 ore a un periodo minimo di riposo di 11 ore;
3) ogni sette giorni il lavoratore deve beneficiare di un periodo minimo di riposo ininterrotto di 24 ore, di regola la domenica.
L’interpretazione su quali attività dovessero rientrare o meno nell’orario di lavoro è stata estremamente eterogenea da azienda ad azienda. Quasi mai vi sono rientrate la libera professione e le attività occasionali, pur autorizzate. Quasi sempre è stata conteggiata la formazione obbligatoria, mentre altre attività formative sono state collocate extra orario in oltre il 50% dei casi. Anche le attività non assistenziali sono rimaste escluse dall’orario lavorativo nella metà dei casi. Fatto che si è replicato in oltre il 40% dei casi per le docenze svolte in azienda e retribuite.
Le disposizioni sull’orario di lavoro non sono state applicate in circa il 70% dei casi ai dirigenti di struttura complessa e nel 35% per quel che riguarda i dirigenti di struttura semplice dipartimentale.
La reingegnerizzazione di tempi e modo di lavoro
Nonostante le difformità interpretative quasi tutte le Aziende hanno però messo in atto attività di monitoraggio e informazione su turnistica, timbratore, straordinari ed altro ancora.
Ma per reggere all’impatto di nuovi orari e turni di riposo in carenza di personale circa un’Azienda su quattro ha sviluppato modelli innovativi di turnistica, soprattutto per il personale del comparto, ossia infermieri, tecnici e amministrativi. Sono stati introdotti “il turno a 12 ore”, l’uniformazione del turno notturno a 11 ore, la suddivisione in due turni della pronta disponibilità o, ancora, “l’inversione inizio turno del turno in quinta h24”. Che di norma comporta periodi di riposo di 48 e più ore dopo turni “lunghi”, periodi che sono stati invece ridotti, ma senza intaccare il monte ore di riposo complessivo.
Sempre un quarto delle aziende ha riorganizzato anche i turni della dirigenza, introducendo guardie interdivisionali, sostituendo i turni di pronta disponibilità con la presenza attiva o al contrario trasformando la disponibilità in presenza sul posto.
Più in generale il 42% delle aziende ha riorganizzato il lavoro del personale del comparto, attraverso strumenti come “la riorganizzazione delle risorse umane su base dipartimentale” o la “revisione del piano di reperibilità”. Stessa cosa è accaduta nel 32% dei casi per la dirigenza. In diversi casi la riorganizzazione è avvenuta a livello interaziendale, attraverso l’istituzione di dipartimenti e strutture complesse tra più aziende, l’unificazione di servizi amministrativi e della laboratoristica, le convenzioni con altre Asl e la telerefertazione diagnostica o la concentrazione su area metropolitana di servizi come centri trasfusionali, laboratori, radiologie.
Circa un’azienda su quattro ha poi incrementato la formazione a distanza e quella sul campo, modificando l’articolazione oraria dei corsi.
Un 20% delle aziende è invece ricorsa all’assunzione tra i 10 e i 40 dipendenti a tempo indeterminato. Altrettante hanno assunto al massimo 40 dipendenti a tempo determinato. Poche quelle che sono potute andare oltre le 40 assunzioni, mentre solo un’azienda su otto ha finito per assumere nuovi dirigenti.
Le criticità
Riorganizzandosi e in parte assumendo le aziende hanno retto all’impatto del nuovo orario di lavoro europeo. Secondo il 55% delle aziende, il riposo giornaliero di 11 ore è stato l’elemento più critico della nuova normativa, mentre per il 16% le maggiori criticità si sono concentrate nella giornata di riposo settimanale e per il 18% nel limite orario delle 48 ore settimanali.
Nel 40% dei casi si è passato a ridurre l’attività formativa (anche se nella gran parte dei casi in mondo trascurabile) e circa il 35% dei dipendenti è stato costretto a procrastinare le ferie, mentre le riunioni di lavoro sono state ridotte nel 50% dei casi. Ma in pochi si sono tirati indietro, perché in quasi il 90% delle aziende non sono aumentati i dipendenti che hanno marcato visita assentandosi dal lavoro.
Ma soprattutto non si è riscontrato il temuto allungamento delle liste d’attesa, che è stato significativo nel 2% dei casi, trascurabile nel 40% e inesistente in quasi il 60% delle aziende. Stesso discorso per le prestazioni sanitarie erogate da Asl e ospedali, che non hanno subito nessun taglio nel 60% dei casi, mentre in poco meno del 40% delle aziende la riduzione c’è stata ma trascurabile, con una criticità più marcata rilevata solo nell’1% dei casi.
Dove si sono sentiti più scricchiolii è nell’area delle degenze, del comparto operatorio, dell’emergenza-urgenza, delle terapie intensive o sub intensive, dove nel complesso si sono riscontrate in quattro casi su cinque le criticità più significative.
“Innovare oggi più che mai significa tornare ad investire sul personale – ha commentato Francesco Ripa di Meana, presidente Fiaso – ma la situazione è al limite. Non si può andare avanti con soluzioni tampone, serve un approccio organico sul fronte legislativo e contrattuale che in sei mesi affronti e sciolga i nodi irrisolti del personale Ssn ridando certezza e serenità all’intero settore sanitario. I risultati della ricerca indicano che oggi più che mai innovare significa tornare ad investire sul personale. C’è tutto un mondo di medici, infermieri, amministrativi, tecnici e manager, che ha saputo reingegnerizzare modi e tempi di lavoro, magari non conteggiando nell’orario di lavoro formazione, docenze e attività esterne in convenzione. La situazione è comunque al limite. Non è immaginabile che il sistema continui a reggere con soluzioni tampone, serve un approccio organico sul fronte normativo e contrattuale che in sei mesi affronti e sciolga i nodi irrisolti sul personale del Ssn offrendo così certezza e serenità all’intero settore sanitario”.
Schirru ha evidenziato la necessità di un contratto che consideri competenze e specificità nei vari ambiti e per questo ha sottolineato che nuove competenze e specialità dovrebbero essere in qualche modo collegare anche agli sviluppi di carriera. “Gli orari di lavoro – ha detto – non sono per tutti gli stessi, ma vanno differenziati secondo l’organizzazione del lavoro e anche quella della vita dei professionisti: facendolo si combatte e si abbatte anche il tasso di assenteismo che spesso purtroppo fa notizia più di quanto non la faccia la dedizione dei nostri professionisti al loro lavoro e ai loro pazienti”.
Le proposte Fiaso per garantire diritti dei lavoratori e funzionalità dei servizi
La necessità di ridurre l’impatto della legge 161 sulla funzionalità del sistema ha trovato una prima risposta nella serie di azioni proposte da Fiaso a conclusione dell’indagine:
– escludere dall’applicazione del nuovo orario almeno i responsabili di struttura e gli incarichi dirigenziali di elevata professionalità e, riguardo tecnici e infermieri, i professionisti che svolgono la propria attività al di fuori di orari e luoghi definiti;
– esentare le tipologie di servizi ad alta specializzazione che non possono essere delegate ad altre figure professionali, come ad esempio la trapiantologia, con possibilità di recupero del riposo non fruito;
– ridurre a 8 ore il riposo giornaliero per alcuni servizi di specifico interesse pubblico, come gli ospedali di prossimità a organici ridotti;
– escludere delle attività non assistenziali, come formazione obbligatoria e riunioni di reparto, dal computo delle 11 ore di riposo giornaliero;
– escludere le attività volontaristiche, come la formazione individuale e l’approfondimento di casi clinici;
– prevedere una franchigia annuale di 80 ore pro-capite per attività lavorative dovute a esigenze assistenziali o organizzative a causa delle quali non è stato possibile rispettare le disposizioni normative.
– esclusione delle disposizioni sull’orario di lavoro delle attività didattiche e di ricerca del personale universitario e dei policlinici
Le possibili soluzioni
La ricerca condotta nel 2015 dal Cergas in collaborazione con Fiaso e Ipasvi e con il supporto di ASL Valle d’Aosta, Regione Basilicata, Regione Umbria, Regione Veneto, CISL FP e Nursind, aveva mostrato come quello delle inidoneità sia un fenomeno molto esteso nella sanità pubblica. Se in media è poco più di un dipendente su dieci con un giudizio di inidoneità a svolgere le funzioni per le quali è stato assunto, la percentuale sale a oltre il 24% tra gli operatori socio-assistenziali. E le limitazioni più frequenti riguardano movimentazione di carichi e pazienti (49,5%), limitazioni riferite alle posture e al lavoro notturno (12%). Un fenomeno dovuto anche all’invecchiamento della popolazione sanitaria, dove oramai il 15,8 dei dipendenti uomini e ben il 31,8 delle donne ha tra i 60 e i 64 anni.
A migliorare la situazione sarebbe dovuta intervenire la figura del “medico compente”, incaricato di verificare che dietro le inidoneità non si nascondessero i soliti “furbetti”. Ma le informazioni raccolte dall’ultima indagine FIASO mostrano come non sempre il numero dei medici competenti sia adeguato agli organici aziendali e come a supporto manchi la possibilità di incontri multidisciplinari per la discussione di casi complessi.
Fonte: IPASVI.it
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