Diagnosi e classificazione del diabete mellito: nuovi criteri
di Jennifer Mayfield, M.D. M.P.H.Bowen Research Center, Indiana University, Indianapolis, Indiana
Le nuove raccomandazioni per la classificazione e la diagnosi del diabete mellito includono l'uso preferenziale dei termini “tipo 1” e “tipo 2” anziché “IDDM” e “NIDDM” per definire i due tipi più importanti di diabete mellito; la semplificazione dei criteri diagnostici a due glicemie fuori norma; ed un abbassamento delle soglie di glicemia (126 mg per dL [7 mmol per L] o più) per confermare la diagnosi di diabete mellito. Questi cambiamenti forniscono un metodo più semplice e attendibile per diagnosticare le persone a rischio di complicazioni per iperglicemia. Attualmente, solo la metà della popolazione diabetica è stata diagnosticata. Gli screening per il diabete mellito dovrebbero iniziare a 45 anni di età e dovrebbero essere ripetuti ogni tre anni nelle persone non a rischio, mentre dovrebbero iniziare prima ed essere ripetuti più spesso in quelle persone che presentano fattori di rischio. Tra questi vi sono l'obesità, parenti di primo grado con diabete mellito, ipertensione, ipertrigliceridemia o precedente evidenza di alterata omeostasi del glucosio. La determinazione precoce del diabete mellito può portare a migliorare il controllo dei livelli di zucchero nel sangue e ad una riduzione nella gravità delle complicanze associate con questa malattia.
Il diabete mellito è un gruppo di disturbi metabolici con una manifestazione comune: l'iperglicemia. L'iperglicemia cronica causa danni ad occhi, reni, nervi, cuore e vasi sanguigni. L'eziologie e le patofisiologie che portano all'iperglicemia, d'altronde, sono marcatamente differenti tra diversi pazienti con diabete mellito, dettando differenti strategie di prevenzione, di screening diagnostico e di trattamento. L'impatto avverso dell'iperglicemia e la base logica per il trattamento aggressivo sono state recentemente rivisti.
Nel giugno del 1997, un comitato internazionale di esperti ha rilasciato un comunicato contenente le nuove raccamondazioni per la classificazione e la diagnosi del diabete mellito. Queste nuove raccomandazioni sono il risultato di più di un anno di collaborazione tra esperti della American Diabetes Association e della Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). L'uso dei sistemi di classificazione e dei criteri diagnostici standardizzati facilita un linguaggio comune tra pazienti, medici e gli altri professionisti e scienziati.
Classificazione precedente
Nel 1979, il National Diabetes Data Group produsse un documento che standardizzava la nomenclatura e le definizioni per il diabete mellito. Questo documento fu approvato un anno dopo dalla OMS. Vennero dati nomi descrittivi delle presentazioni cliniche dei due maggiori tipi di diabete mellito: “diabete mellito insulino-dipendente” (IDDM) e “diabete mellito non insulino-dipendente” (NIDDM). Comunque, non appena le raccomandazioni per il trattamento si sono evolute, la classificazione corretta del tipo di diabete risultò confusa. Per esempio, era difficile classificare correttamente persone con NIDDM che dovevano essere trattate con insulina. Questa confusione evidenziò la classificazione non corretta di un gran numero di pazienti con diabete mellito, complicando la valutazione epidemiologica e la gestione clinica. La scoperta di altri tipi di diabete con specifica fisiopatologia che non rientravano in questo sistema di classificazione, complicò ulteriormente la situazione. Queste difficoltà, con le nuove scoperte dei meccanismi del diabete mellito, fu un ulteriore stimolo allo sviluppo di un nuovo sistema di classificazione.
Il National Diabetes Data Group fissò anche il test orale di tolleranza del glucosio (usando un carico di zucchero di 75 g) come il test diagnostico preferenziale per il diabete mellito. Tuttavia, questo test è scarsamente riproducibile, ha poca rilevanza fisiologica ed è un debole indicatore delle complicanze a lungo termine paragonato alle altre misure dell'iperglicemia. Inoltre, molti pazienti ad alto rischio non se la sentono di sottoporsi ripetutamente ad un test che richiede lo spreco di tanto tempo. In questo articolo sono indicati i nuovi criteri diagnostici.
Cambiamenti nel sistema di classificazione
Il nuovo sistema di classificazione identifica quattro tipi di diabete melito: tipo 1, tipo 2, “altri tipi specifici” e diabete gestazionale. I numeri arabi sono specifamente usati nel nuovo sistema per minimizzare la confusione occasionale del tipo “II” con il numero “11”. Ognuno dei tipi di diabete mellito identificato si estende attraverso un continuum clinico di iperglicemia e bisogno di insulina.
Il diabete mellito tipo 1 (in passato chiamato tipo I, IDDM o diabete giovanile) è caratterizzato dalla distruzione delle beta-cellule causata da un processo autoimmune, che di solito porta alla mancanza assoluta di insulina L'esordio è solitamente acuto e si sviluppa in un periodo di alcuni giorni o settimane. Oltre il 95 per cento delle persone con diabete tipo 1 sviluppano la malattia prima dei 25 anni di età, con un'uguale incidenza in entrambi i sessi e una maggior prevalenza nella popolazione bianca. Vengono spesso riscontrati una storia familiare di diabete mellito tipo 1, celiachia o altri disturbi endocrini di natura autoimmune. Molti di questi pazienti hanno la “forma immuno-mediata” di diabete mellito tipo 1 con gli anticorpi delle beta-cellule e spesso altre malattie autoimmuni come la tiroidite di Hashimoto, il disturbo di Addison, vitiligine o anemia perniciosa. Alcuni pazienti, di solito quelli di origine africana o asiatica, non hanno anticorpi ma hanno presentazioni cliniche simili; di conseguenza, essi vengono inclusi in questa classificazione e la loro malattia è chiamata “forma idiopatica” o diabete mellito tipo 1B.
Il diabete mellito tipo 2 (in passato chiamato tipo II, NIDDM o diabete dell'adulto) è caratterizzato da insulino resistenza nei tessuti periferici e un difetto di secrezione dell'insulina delle beta-cellule. Questa è la forma più comune di diabete mellito ed è strettamente associata con una storia familiare di diabete, età avanzata, obesità e scarso esercizio fisico. È più comune tra le donne, specialmente donne con una storia di diabete gestazionale, di pelle nera, ispaniche e pellerossa. L'insulinoresistenza e l'iperinsulinemia possono portare ad una riduzione della tolleranza del glucosio. Le beta-cellule difettose divengono esauste, alimentando inoltre il ciclo di intolleranza al glucosio e di iperglicemia. L'eziologia del diabete tipo 2 è multifattoriale e probabilmente basata su fattori genetici, ma anche su componenti comportamentali.
I tipi di diabete mellito di varie eziologie conosciute sono raggruppati insieme a formare la cassificazione chiamata “altri tipi specifici”. Questo gruppo include le persone con difetti genetici della funzione beta-cellulare (questo tipo di diabete è chiamato MODY o diabete dell'età adulta a esordio giovanile) o con difetti dell'azione dell'insulina; le persone con questi disturbi del pancreas esocrino, come quelli con pancreatiti o fibrosi cistica; persone con disfunzioni associate con altre endocrinopatie (p.e. acromegalia); e persone con disfunzioni del pancreas causate da farmaci, prodotti chimici o infezioni. La classificazione eziologica del diabete mellito è riportata nella Tabella 1
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I nuovi criteri diagnostici per il diabete mellito sono stati semplificati (Table 2).
Il test di tolleranza orale al glucosio precedentemente raccomandato dal National Diabetes Data Group è stato sostituito con la raccomandazione che la diagnosi di diabete mellito sia basata su due livelli di glicemia a digiuno maggiori o uguali a 126 mg per dL (7.0 mmol per L). Altre opzioni per la diagnosi includono due glicemie due ore dopo i pasti (2hrPPG) maggiori o uguali a 200 mg per dL (11.1 mmol per L) dopo un carico di glucosio di 75 g (essenzialmente, il criterio raccomandato dalla OMS) o due letture casuali di glicemia maggiori o uguali a 200 mg per dL (11.1 mmol per L). La misura della glicemia a digiuno è il test diagnostico preferenziale, ma può essere usata ogni combinazione di due risultati anormali dei test. La glicemia a digiuno è stata considerata come il test diagnostico principale in quanto predice esiti avversi (p.e. la retinopatia) allo stesso modo del test 2hrPPG ma è molto più riproducibile rispetto al test orale da carico di glucosio o il 2hrPPG test ed è più semplice da fare in ambiente clinico.
La scelta della nuova soglia per la glicemia a digiuno è basata sull'evidenza, emersa dallo studio di una popolazione numerosa, che collega il rischio di varie complicanze allo stato glicemico del paziente. La Figura 1 mostra il rischio di retinopatia diabetica in base allo stato della glicemia dei partecipanti, di età compresa tra 40 e 74 anni, al National Health and Nutritional Epidemiologic Survey (NHANES III). Il rischio di retinopatia cresce rapidamente quando la glicemia a digiuno del paziente è superiore a 109-116 mg per dL (6.05-6.45 mmol per L) o quando i risultati del test 2hrPPG sono superiori a 150-180 mg per dL (8.3-10.0 mmol per L). In ogni caso, il comitato di esperti ha deciso di mantenere la soglia per quest'ultimo test a 200 mg per dL (11.1 mmol per L) in quanto è stata pubblicata troppa letteratura che usa questo criterio. Essi hanno scelto una soglia per la glicemia a digiuno maggiore o uguale a 126 mg per dL (7.0 mmol per L). Questa soglia corrispondeva meglio a quella di 200 mg per dL (11.1 mmol per L) della glicemia postprandiale. Anche il rischio di altre complicanze cresce drammaticamente alle stesse soglie.
Una glicemia a digiuno normale è inferiore a 110 mg per dL (6.1 mmol per L) e una glicemia postprandiale normale è inferiore a 140 mg per dL (7.75 mmol per L). Le glicemie al di sopra dei livelli normali ma sotto i criteri stabiliti per il diabete mellito indicano un'alterazione dell'omeostasi del glucosio. Le persone con glicemia a digiuno tra 110 e 126 mg per dL (6.1 a 7.0 mmol per L) sono dette avere una glicemia a digiuno alterata, mentre quelli con livelli 2hrPPG tra 140 mg per dL (7.75 mmoll per L) e 200 mg per dL (11.1 mmol per L) sono detti avere un'alterata tolleranza al glucosio. Sia gli uni che gli altri sono associati con un maggior rischio di sviluppare il diabete mellito tipo 2. Cambiamenti nello stile di vita, come la perdita di peso e l'esercizio fisico, sono una garanzia per questi pazienti.
Emoglobina glicata
Le misurazioni dell'emoglobina glicata sono state comunemente usate per monitorare il controllo glicemico delle persone già diagnosticate con diabete mellito. Le misure di questa emoglobina o dell'emoglobina glicosilata, glicoemoglobina, emoglobina A1c o emoglobina A1, aiutano nella valutazione del legame del glucosio ai componenti minori dell'emoglobina. Attualmente non esiste un accordo sulla standardizzazione, vengono quindi usati una varietà di metodi di misurazione e di scale di valori.
Alcuni esperti affermano che il test dell'emoglobina glicata può essere usato per la diagnosi del diabete mellito. I livelli di emoglobina glicata sono altamente correlati all'esordio delle complicanze (p.e. la retinopatia) come la glicemia a digiuno o quella postprandiale e sono riproducibili quanto la glicemia a digiuno. Il maggior vantaggio della misura dell'emoglobina glicata consiste nel campione che può essere raccolto senza particolare riguardo a quando il paziente ha mangiato.
Il comitato degli esperti, comunque, non ha incluso la misurazione dell'emoglobina glicata tra le raccomandazioni per gli standard internazionali per la diagnosi del diabete mellito2. Essi hanno notato la mancanza di standardizzazione dei test e dei range di normalità, rendendo difficile dettare una soglia standard. Il test per la misura dell'emoglobina glicata non è facilmente disponibile nei paesi in via di sviluppo; conseguentemente, non è adatto per l'uso come criterio internazionale. Ci sono anche alcune sovrapposizioni nei livelli di emoglobina glicata tra pazienti con diabete mellito e quelli che non ce l'hanno.
Sebbene non fosse specificamente raccomandata dal National Diabetes Data Group come test diagnostico per il diabete mellito, l'emoglobina glicata può, in alcuni casi, essere usata per la diagnosi del diabete. Essa viene eseguita nei seguenti modi. Un livello di emoglobina glicata di 1 per cento al di sopra del limite superiore del range normale previsto per il test di laboratorio usato indica diabete mellito ed ha una specificità del 98 per cento. Le persone che hanno una emoglobina glicata nella norma (cioè, entro il range ritenuto normale per il test di laboratorio utilizzato) o non hanno il diabete mellito o sono diabetici ben controllati (cioè, test falsamente negativo). Comunque, diagnosticando in modo corretto queste persone come normali non potrebbe alterare il loro trattamento in quanto esercizio e dieta riescono a controllare adeguatamente i loro livelli di glucosio nel sangue. Le persone che non sono state diagnosticate con diabete mellito e che hanno livelli di emoglobina glicata vicini alla norma (meno dell'1 per cento sopra il range normale) possono essere allertate per l'alta probabilità di avere il diabete e può essere offerto loro lo stesso trattamento di una persona affetta da una lieve forma di diabete mellito (cioè, consigli riguardanti la dieta e l'esercizio fisico), seguiti dalla ripetizione del test dell'emoglobina glicata alcuni mesi dopo. Questo metodo di screening e consulenza alle persone ad alto rischio è di facile applicazione per i pazienti ed i medici poichè il campione di sangue può essere prelevato in qualsiasi momento della visita.
Impatto del nuovo Criterio Diagnostico
I medici potrebbero essere preoccupati che i nuovi criteri diagnostici per il diabete mellito, incluso l'abbassamento della soglia della glicemia a digiuno, possa aumentare notevolmente il numero di persone a cui può essere diagnosticato il diabete. Queste preoccupazioni di sovradiagnosi includono il danno creato dall'ansietà, il rischio e il costo di trattamenti non necessari, e le possibili discriminazioni assicurative, soprattutto nella condizione in cui la diagnosi è relativamente benigna o se non sono disponibili trattamenti efficaci. D'altro canto, sottodiagnosticare una condizione è dannoso se un trattamento precoce può fare la differenza nell'esordio del paziente, soprattutto quando il trattamento è relativamente benigno e poco costoso.
È vero che un programma di screening rigoroso aumenterà il numero di persone diagnosticate con diabete mellito. Tuttavia, attualmente una buona metà delle persone col diabete non sono state diagnosticate grazie al vecchio criterio e potrebbero rimenere non diagnosticate per altri 10 anni10. Le persone che sono asintomatiche e non sono state diagnosticate continuano a sviluppare le complicazioni del diabete mellito1.
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Il comitato degli esperti ha fornito alcune linee guida per regolare la selezione dei pazienti sui quali ricercare il diabete e la frequenza di questi controlli (Tabella 3). I controlli dovrebbero essere effettuati su persone di almeno 45 anni di età e dovrebbero essere ripetuti ogni tre anni.
I controlli andrebbero inoltre effettuati sulle persone più giovani e più frequentemente se obese (il 120 per cento del peso desiderabile o più o un'indice di massa corporea maggiore o uguale a 27 kg per m2); quelli che hanno parenti di primo grado con diabete mellito; di pelle nera, ispanici o pellerossa; le donne che hanno partorito bambini di peso superiore 4.032 g (9 lb), o diagnosticate con diabete mellito gestazionale durante la gravidanza; le persone ipertese; quelle con un livello di lipoproteine ad alta densità minore o uguale a 35 mg per dL (0.90 mmol per L) e/o un livello di trigliceridi maggiore o uguale a 250 mg per dL (2.83 mmol per L). Inoltre, i pazienti con alterata gluco-omeostasi dovrebbero essere rivalutati più frequentemente.
Il comitato degli esperti si è raccomandato che lo screening per il diabete gestazionale sia riservato per le donne che incontrano uno o più dei seguenti criteri: età di 24 anni o superiore, obesità (definita come più del 120 per cento del peso corporeo desiderabile), una storia familiare di diabete mellito tra i parenti di primo grado, e discendere da un'etnia ad alto rischio.
Commento finale
Le modifiche raccomandate dal comitato degli esperti per la diagnosi del diabete mellito dovrebbe portare beneficio ai pazienti. La misurazione dei livelli plasmatici di glucosio a digiuno dovrebbe essere meglio accettata dai pazienti rispetto al test di tolleranza orale del glucosio e può essere facilmente fatto insieme alla misurazione dei livelli lipidici. L'identificazione precoce di persone asintomatiche nel processo della malattia permette una modifica preventiva dello stile di vita e può essere iniziata una terapia medica per prevenire il rischio di complicazioni da iperglicemia. Il National Diabetes Data Group sostiene che questi cambiamenti nei criteri diagnostici non hanno modificato gli obiettivi di trattamento nei pazienti con diabete mellito. Questi obiettivi includono il mantenimento della glicemia sotto i 120 mg per dL (6.65 mmol per L) e un'emoglobina glicata sotto il 7.0 per cento.
L'autore
JENNIFER MAYFIELD, M.D., M.P.H.,
è professore associato in medicina familiare al Bowen Research Center dell'Università dell'Indiana, Indianapoli. Ha conseguito il diploma di laurea in medicina presso la Loma Linda (Calif.) School of Medicine e ha completato un corso residenziale in medicina familiare presso la University of Minnesota Medical School, Minneapoli. La dott.ssa Mayfield è stata presidente del Council on Foot Care della American Diabetes Association per due anni ed è stata precedentemente epidemiologa per l'Indian Health Service Diabetes Program.
Per corrispondere con l'Autore: Jennifer Mayfield, M.D., M.P.H., Bowen Research Center, Department of Family Practice, Indiana University, 1110 West Michigan St., Long Hospital Room 200, Indianapolis, IN 46202.
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Tratto da: MAYFIELD, J.: Diagnosis and Classification of Diabetes Mellitus: New Criteria, American Family Physician, 15 ottobre 1998.
Data ultimo aggiornamento: Mar, 8 Giugno 1999 6:30:00
Fonte: http://www.progettodiabete.org/expert/e1_84.html
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