NURSING MALPRACTICE: l’errore è dietro
l’angolo!
Abbiamo potuto assistere in questi ultimi
anni ad una crescita esponenziale della figura dell’infermiere e con essa è
cresciuta a dismisura sia la stessa professione infermieristica che la
professionalità stessa. Ma ogni cambiamento porta con se altrettante
trasformazioni; la crescita professionale ha onerato l’infermiere, libero
oramai del pesante appellativo di “professionale”, di maggiori oneri, di
maggiori carichi di lavoro e ancora più di maggiori responsabilità. La stessa
abolizione del mansionario se da un lato è stato un trampolino di lancio per la
nostra professione, al contempo, dall’altro, ha contribuito a accrescere
sensibilmente le mansioni stesse (scusate il giro di parole) che “competono”
alla nostra professione. Ma, casistica e ragione vuole che tante più sono
funzioni da svolgere nello stesso arco di tempo, tanto maggiore è il rischio di
commettere un errore. Già, l’errore! Per un professionista è uno dei grandi
nemici da evitare, una mannaia sulla nostra testa pronta a mozzare, in taluni
casi estremi, anche la nostra stessa carriera. Ma cos’è veramente l’errore?
Gettatomi a capofitto alla ricerca di
materiale informativo, la cosa che immediatamente è balenata alla mia
attenzione è stata la difficoltà non di reperire materiale in genere, quanto di
reperire materiale rigorosamente italiano, nostrano tanto per intenderci. A
quanto sembra, infatti, sebbene l’infermiere italiano non sia certo immune da
errori, questi sembra essere restio alla classificazione e documentazione dello
stesso. Gli studi e le classificazioni hanno sempre la stessa origine, inglese
e americano per lo più e questo non è certamente un punto a nostro favore nel
processo inarrestabile di cui sopra. Del resto, non dobbiamo dimenticare come
nel processo di cura del paziente (utente o chiamatelo come preferite) sono
proprio le attività infermieristiche a giocare un ruolo assolutamente
fondamentale, tale che proprio da esse rischia di dipendere non solo la qualità
ma anche e soprattutto l’esito medesimo dell’assistenza e della cura stessa; da
qui, l’impellente necessità, da parte del professionista, di un’adeguata
strategia finalizzata, non certo alla soluzione ma alla prevenzione dell’errore
stesso. Alla luce di ciò, quindi, potremmo definire, senza timore di essere
smentiti, che l’errore altro non è che l’esito di un’azione che non ha
raggiunto i risultati prefissati o, se preferite, il fallimento stesso di
un’azione programmata.
Per quanto minuziosa possa essere la
preparazione, svariati fattori sembrano concorrere alla realizzazione di un
errore: da fattori prettamente umani, a fattori tecnologici, per chiudere, ma
non ultimi, i fattori di origine organizzativa. Se tre sono i fattori che
possono convergere, svariate, tuttavia, possono essere invece le cause di un
errore; fra queste ricordiamo una carente comunicazione fra figure sanitarie
all’interno dell’equipe (e quindi mi riferisco al rapporto medico-infermiere e
infermiere-infermiere) o peggio la mancanza e di sistemi (accurata documentazione
clinica) e di mezzi di comunicazione fra le figure interessate (cartella
infermieristica tanto per dirne una!); una scarsa organizzazione associata
magari ad un ponderoso clima lavorativo in cui l’operatore deve svolgere la
propria attività e, indiretta conseguenza, anche quei tanto denigrati carichi
di lavoro inappropriati e perché no, un personale non adeguatamente preparato o
formato.
Quando l’errore non è fine a se stesso, ma
reca un danno al paziente, ecco che parleremo, in questo caso, di Nursing
Malpractice.
E’ proprio su questo argomento che ho
trovato le maggiori difficoltà nel reperire materiale informativo che non fosse
a stelle e strisce o d’oltremanica e questo un po’ dispiace e mi fa sorgere il
dubbio che sebbene si sia estremamente professionali fra i letti di una
qualunque corsia, forse non lo siamo ancora dentro di noi.
Ad ogni modo, la quotidianità e, negli
ultimi tempi purtroppo, anche i mass-media non hanno perso occasione di
sottolineare quelli che sono stati gli eventi definiti superficialmente, come
in un grande calderone, “di mala sanità” e riconducibili alla definizione di
nursing malpractice. L’American Society of Hospital Pharmacy ha documentato che
la maggiore percentuale di sbagli infermieristici riguarda “l’errore di
terapia”, in testa in questa pseudo-classifica non come l’errore più comune,
quanto quello percentualmente più documentato, seguito a ruota da quello
trasfusionale, di campionamento, per scendere in classifica agli errori che
arrecano infezioni, alle ulcere (su cui non intendo commentare), alle cadute.
Dato curioso a prima vista, ma forse di non così difficile interpretazione,
visto che proprio i primi due sembrerebbero essere, non certo a sorpresa, le
principali motivazioni di denuncia nei confronti della nostra professione. La
cosa più incredibile è che, sempre secondo la fonte di cui sopra, oltre 1/5 dei
medicamenti verrebbero somministrati erroneamente e il 7% di questi sarebbero “medicamenti
potenzialmente pericolosi”. Del resto, si è calcolato come la percentuale
di rischio di ricevere sangue incompatibile sia di 1:38000, addirittura ben più
alto del rischio di contrarre una malattia virale. Ma non finisce qui! La
percentuale di rischio, invece, di avere una reazione emolitica fatale va da un
minimo di 1:600.000 ad un massimo di 1:2.000.000 (studio Linden JV e
al.Tranfusion 2000:40:1207-1213), numeri che fanno accapponare la pelle, tanto
che verrebbe da dire: “ragazzi, non vi ricoverate!”
Un errore di terapia può avere, nella
sostanza, molte origini; potrebbe essere figlio di un’errata trascrizione,
ovvero di una prescrizione medica, da una parte, non correttamente trascritta o
semplicemente riportata, dall’altra (diamo a Cesare quel che è di Cesare)
sbagliata nell’interazione con altri farmaci e nel dosaggio. Ma anche la
preparazione è estremamente delicata con una errata manipolazione del farmaco,
un’errata diluizione o peggio, come sopra, un’inattesa interazione chimica. La
somministrazione, del resto, non è certo esente da rischi, visto che le statistiche
parlano di una via di somministrazione errata, un errato tempo di
somministrazione proporzionalmente con la dose di farmaco e, diciamolo a denti
stretti, una tecnica non idonea.
In area critica, ambiente da cui provengo,
le patologie che maggiormente sono influenzate dal lavoro infermieristico sono
le infezioni delle vie urinarie, le infezioni dei cateteri venosi e le
polmoniti. Del resto, molteplici sono le manovre invasive particolarmente a
rischio nonché i presidi utilizzati: dalla cateterizzazione stessa al catetere
vescicale in situ per un tempo superiore ai 10 giorni (10%), all’utilizzo di
cateteri venosi ed arteriosi per l’incannulazione di grossi vasi (7%) e
l’utilizzo di drenaggi aperti (come la monitorizzazione della Pressione
Intra-Cranica, il Drenaggio Liquorale etc) che aumentano sensibilmente il
rischio di ottenere infezioni. Non ultima, le broncoaspirazioni, le toilette
bronchiali e una errata, non idonea o incompleta (e qui mi sto ripetendo)
sanificazione strumentale.
L’oramai nota American Society Bla Bla
Bla, non si è soltanto preoccupata di documentare l’errore, ma si è impegnata a
indicare alcuni accorgimenti utili al che il nostro comune nemico non prenda il
sopravvento. Fra le tante ne vorrei riportare alcune:
·
Invio diretto delle prescrizioni attraverso sistema informatizzato
·
Introduzione codici a barre
·
Sviluppo di sistemi di monitoraggio ed archiviazione delle reazioni avverse
·
Adozione della dose unitaria e miscelazione centralizzata
·
Collaborazione diretta del farmacista con i medici ed infermieri
·
Rilevazione degli errori legati alla somministrazione ed elaborazioni di
soluzioni
Mettendo da parte adesso l’ironia,
l’errore è veramente dietro l’angolo e per quanto si possa essere professionali
ed attenti questi è pronto a saltarci addosso come una belva affamata nella
giungla dell nostro lavoro. La prevenzione dell’errore risulta estremamente
importante, di vitale importanza per noi, per la nostra professione, per il
paziente che in fondo è l’obiettivo dei nostri sforzi e per la comunità.
Prevenire l’errore, o riconoscerlo, imparare da esso e cercare di porvi rimedio
prima che questo provochi altro danno deve essere un nostro obiettivo primario.
Il peccato imperdonabile non è l’errore in se, quanto NASCONDERLO.
(si ringraziare il collega Carmelo Di
Marco dell’Az. Osp. Cannizaro, reparto Rianimazione, per la gentile
collaborazione e per il materiale utilizzato).
FONTE:
http://www.ipasvict.it/index.php
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