Immunopatogenesi della malattia celiaca: stato dell'arte E' noto ormai da tempo che il fattore scatenante della malattia celiaca è rappresentato dal glutine, la componente proteica della farina di frumento, orzo, segale e avena. In particolare si è visto che la frazione tossica del glutine di frumento è rappresentata dalla sua componente alcool solubile: la gliadina. Nell'ambito di questa si distinguono quattro sottofrazioni elettroforetiche Alfa, Beta, Gamma, Omega gliadina. Le gliadine sono costituite da singole catene polipeptidiche, di peso molecolare compreso tra i 30.000 e 75.000 dalton e sono caratterizzate da un alto contenuto di glutamina e prolina (32-56 glutamine e 15-30 proline ogni 100 residui amminoacidici). Poiché l'Omega gliadina, la frazione meno tossica, ha il più alto contenuto di glutamina e prolina, la ricchezza di questi amminoacidi non sembra correlarsi con la lesività dell'intera molecola. Molto simili alla gliadina sono le prolamine, cioè la componente alcool-solubile del glutine di orzo, segale e avena rispettivamente definite Ordeina, Secalina e Avenina. L'isolamento di cloni di DNA complementare per la gliadina ha permesso di sequenziare e determinare i 266 amminoacidi costituenti l'A. gliadina, che è una sottofrazione tossica dell'Alfa-gliadina. Mediante digestione cianobromidica e triptica sono state identificate nell'ambito dell'A gliadina due sequenze (1.30 e 31.55) tossiche in vitro e caratterizzate dalla frequente ricorrenza di due tetrapeptidi (-gln-gln-gln-pro e pro-ser-gln-gln). L'importanza di questi 2 oligopeptidi è indirettamente confermata dalla loro assenza in cereali non tossici, quali mais e riso, e dal fatto di non poter essere ulteriormente digeriti da parte di enzimi attivi in vivo, quali pepsina, tripsina, chimotripsina, pancreatina ed endoproteinasi. Recentemente sono stati sintetizzati tre peptidi corrispondenti ai residui 3.21, 31.49, 202.220 dell'A.gliadina. Solo la somministrazione in vitro del secondo contenente la sequenza gln.gln.gln.pro ma non quella -pro-ser.gln.gln. contenente nel primo e nel terzo, ha riattivato le lesioni intestinali in un gruppo di celiaci in dieta priva di glutine. Questa sequenza quindi del peptide 31.49 dell'A.gliadina è ora considerata l'agente lesivo della malattia celiaca. L'importanza di questo peptide nella patogenesi della M.C. è ulteriormente confermata dal fatto che esso viene riconosciuto da linfociti T gliadina specifici DQ2 ristretti. Anche le prolamine quindi, contenute in cereali tassonomicamente affini al frumento, quali l'orzo e la segale, simili alle gliadine per l'alcool solubilità e l'alto contenuto di glutamine e proline, risultano tossiche per l'intestino dei celiaci. Pertanto, sul piano pratico, con il termine glutine si intendono correntemente le prolamine presenti nel frumento (gliadine), nell'orzo (ordeine), e nella segale (secaline). Recentemente è stata chiarita la non tossicità dell'avenina contenuta nell'avena. E' ormai chiaro che nella patogenesi della M.C. i fattori genetici sono importanti tanto quelli ambientali. Familiari di I° grado di pazienti celiaci hanno infatti una prevalenza di M.C. di circa il 10% e tale prevalenza sale al 30% quando si considerano fratelli e sorelle HLA identici. La concordanza molto elevata, ma non assoluta (70%) tra gemelli monozigoti conferma l'importanza dei fattori ambientali nell'insorgenza della malattia celiaca. La Malattia Celiaca è stata in precedenza associata con i geni codificanti le molecole HLAB8.DR3.DR7. Successivamente è stato chiarito che l'associazione primaria è con i geni codificanti la molecola di II classe HLA DQ2 e che le associazioni precedentemente osservate debbano ritenersi secondarie a quelle con il DQ2 secondo un "linkage disequilibrium". L'eterodimero Alfa/Beta Associato alla M.C. è codificato dai geni DQA1O501 e DQB1O201 localizzato in Cis cioè sullo stesso cromosoma, in pazienti HLA D3 positivi, o in trans,cioè su cromosomi opposti nei pazienti terozigoti DR5/DR7 positivi. I pazienti che non hanno l'aplotipo DQ2 presentano, nella maggior parte dei casi, l'aplotipo DR4 DQ8 coodificato dai geni DQ A1 O 301 e DQB1 0302. I geni HLA sono di particolare importanza per il corretto controllo della risposta immune. Sono infatti le molecole HLA di II° classe codificate da tali geni che, configurate come un calice sulla superficie delle cosidette cellule antigene presentanti (macrofagi, cellule APC) presentano l'antigene al recettore posto sulla superficie dei linfociti T. Si è visto altresì che la codifica sia dei geni DQ2 che DQ8 determinerebbe la sostituzione di un acido aspartico in posizione 57 della catena Beta e la presenza di una serina in posizione 75 della catena alfa tale da determinare un ruolo di fondamentale importanza per il corretto legame con l'antigene. Questo condizionerebbe una non corretta presentazione dei peptidi della gliadina al TCR dei linfociti scatenando una alterata risposta immunologica nei suoi confronti. La presenza tuttavia dei geni DQ2 e DQ8 positivi viene considerata una condizione necessaria ma non sufficiente per lo sviluppo della malattia. Una parte consistente della popolazione generale è infatti DQ2 e DQ8 positiva senza che ciò si traduca in una forma franca di M.C. Anche la diversa concordanza tra gemelli monozigoti e fratelli HLA identici (70% vs 30%) suggerisce, inoltre, che anche geni non appartenenti al complesso maggiore di istocompatibilità debbano essere implicati nelle patogenesi della M.C. Ci sarebbero, infatti, oltre ai geni HLA, che partecipano al controllo della risposta T cellulare verso un determinante antigene, geni preposti alla preparazione ed al trasporto di quest'ultimo e geni che determinano il polimorfismo del recettore per l'antigene su linfociti T e geni immunomodulanti, che codificano per molecole di adesione, citochine e loro recettori, amplificando o restrigendo la risposta immune in modo non antigene-specifico. Un'altra ipotesi di suscettibilità genetica non HLA correlato potrebbe essere determinata dal sistema di inibizione - attivazione CTLA-4-CD28 presente in altre patologie autoimmunitarie e non ultima l'ipotesi alternativa non legata a fattori genetici quanto piuttosto al cointervento di altri fattori ambientali, in particolare virus. Allo stato attuale, però, vi è consenso unanime massima che l'ipotesi virale, per quanto elegante, non poggi su basi concrete. Molto recentemente è stato dimostrato che anche la transglutaminasi tissutale (tTG), antigene degli anticorpi antiendomisio, possa avere un ruolo importante nella patogenesi della M.C. Esso è un enzima citoplasmatico che apparteneva alla famiglia degli enzimi calciodipendenti che catalizzano il cross linking proteico con la gliadina. Sulla base di questa elevata affinità tra tTG e gliadina, è stato suggerito che, dal legame tra queste 2 molecole, si formino dei neoepitopi in grado di innescare quella risposta immune che sta alla base della malattia celiaca, tuttavia, al momento attuale non vi sono evidenze sufficienti per stabilire se questo enzima abbia un ruolo primario nella patogenesi della M.C. o meno. I meccanismi immunologici quindi, come sopra descritto, avrebbero un ruolo fondamentale nella patogenesi di questa malattia e determinerebbero alterazioni che si riscontrerebbero nella mucosa di questi pazienti, o dagli stessi trattati a GFD che reintroducono alimenti contenenti gliadina e/o prolamine. L'attivazione immunologica scatenata da quest'ultima determinerebbe una rapida attivazione dei linfociti T gliadina specifici DQ2 ristretti della lamina propria ed un aumento degli stessi a livello intraepiteliale. Tali linfociti, una volta attivati, produrrebbero un pattern di citochine di tipo Th1 caratterizzato dalla sovrapproduzione di IFN gamma, IL2, IL6 e TNF alfa responsabile delle lesioni intestinali quali l'ipertrofia delle cripte e l'atrofia dei villi. CONCLUSIONI: In questo piccolo abstract si è cercato di ricostruire, sulla base dei dati (non sempre tra loro concordanti) emersi dalla più recente letteratura, il complesso mosaico di eventi attraverso i quali, in individui geneticamente suscettibili, l'ingestione di gliadina porta all'appiattimento della mucosa intestinale. Se il ritmo delle nuove acquisizioni si manterrà sui livelli attuali è probabile che assisteremo nei prossimi anni al definitivo chiarimento di quei punti tuttora lacunosi e controversi. Gian Marco Giorgetti U.O. Nutrizione Clinica, Ospedale S.Eugenio, Roma Antonio Tursi Divisione di Medicina Interna, Ospedale L.Bonomo, Andria Giovanni Brandimarte Divisione di Medicina Interna, Servizio di Endoscopia Digestiva, Ospedale Cristo Re, Roma |
La malattia celiaca nell'anziano INTRODUZIONE La Malattia celiaca (MC) può essere definita come "un'enteropatia cronica con lesioni caratteristiche, ma non strettamente specifiche, dell'intestino tenue che, nel tratto coinvolto, impediscono l'assorbimento dei nutrienti e che migliorano, fino a poter scomparire, eliminando dalla dieta la gliadina del frumento e le prolamine dell'orzo, della segale e dell'avena." Il malassorbimento sembra essere quindi legato all'estensione delle lesioni intestinali e ciò potrebbe giustificare, almeno sotto alcuni aspetti, l'eterogeneità clinica della MC, che può presentarsi con forme carenziali gravi, ma anche decorrere per molti anni oligosintomatica o addirittura asintomatica. Per tale motivo questa malattia può essere diagnosticata non nell'infanzia, ma anche in età adulta, quando si verificheranno condizioni (abitudinarie, ambientali, occasionali ecc...) tali da indurre la comparsa di sintomi che sollecitano l'esecuzione di test specifici per il suo riconoscimento. In particolare, sono in aumento le diagnosi di MC nei pazienti adulti che hanno una sintomatologia atipica, e questo anche grazie alla disponibilità di test di screening sensibili e specifici ed alle maggiori conoscenze aquisite nelle presentazioni cliniche della malattia. Gli studi epidemiologici presenti in letteratura riportano dati di prevalenza estremamente variabili, anche se negli ultimi anni molti Lavori hanno riportato valori che si attestano intorno a 1:250-1:300. I motivi delle diagnosi eseguite attraverso la sintomatologia sono cambiati nel tempo. Nei casi raccolti dal gruppo di Gasbarrini tra il '70 ed il '90 si è assistito, per esempio,ad una diminuzione in percentuale della "diarrea" che negli anni '72-'77 rappresentava il 90.9% delle modalità di presentazione della M.C. nell'adulto, fino al 54,6% nel periodo '84-'89. I sintomi "classici" (diarrea, malassorbimento con calo ponderale, meteorismo, dolori addominali) lasciano il posto a segni considerati "atipici": nella stessa casistica, il 4,5% dei pazienti diagnosticati nel periodo '72-'77 presentava clubbing ungueale e stomatite aftosa, mentre nel periodo '84-'89 tali manifestazioni sono state identificate rispettivamente nel 39,7% e nel 19,1% dei casi diagnosticati. In età geriatrica la M.C. si ritiene possa presentarsi con le stesse caratteristiche della malattia dell'adulto, e la frequenza riportata in letteratura varia dal 4 al 25%. In realtà poche sono le casistiche che hanno studiato un'ampia popolazione veramente anziana: in uno studio condotto da Kirby e Fielding nel 1994, sono stati presi in considerazione 18 pazienti oltre i quarant'anni: di questi solo 3 avevano più di sessanta anni! Hankey e Holmes hanno analizzato 42 pazienti con diagnosi di M.C. effettuata oltre i sessant'anni, ma in questa casistica la sintomatologia clinica dei pazienti avrebbe potuto condurre ad una corretta diagnosi molto tempo prima: 7 pazienti avevano infatti già manifestato la Dermatite erpetiforme (in un caso 34 anni prima) e 6 pazienti, precedentemente diagnosticati come affetti da colite o da intestino irritabile, lamentavano una sintomatologia gastrointestinale da almeno 9 anni. SCOPO DELLO STUDIO Scopo del nostro lavoro è stato quello di identificare le principali caratteristiche cliniche e di presentazione dei celiaci diagnosticati nella maggior parte dei Centri italiani a cui può afferire la patologia celiaca non pediatrica. Ciò allo scopo di cercare di avere informazioni sui seguenti punti:
PAZIENTI E METODI A tutti i Centri di Medicina Interna e di Gastroenterologia italiani, a cui, abitualmente, afferiscono in prevalenza i malati con patologia intestinale, e maggiormente dedicati allo studio della MC, indicati come "di riferimento" e facenti parte del "Club del Tenue", è stato inviato un questionario volto a scoprire il numero di diagnosi di MC effettuate in età geriatrica. Considerando età geriatrica quella maggiore di 65 anni, sono stati presi in considerazione i casi diagnosticati e controllati almeno due volte da ciascun Centro. In questi casi sono state analizzate, in particolare, le modalità di presentazione clinica della celiachia, le principali alterazioni laboratoristiche, le patologie associate, le complicanze e le più frequenti cause di decesso. RISULTATI Nove centri di gastroenterologia hanno aderito allo studio. 1.353 pazienti celiaci sono stati diagnosticati complessivamente dai Centri partecipanti. Pazienti (M=16; F=44; M/F= 1:2,8) sono stati diagnosticati in età geriatrica (4.4%), 1293 (M=378; F=915; M/F=1:2,4) in età adulta. Fra gli anziani, 46/60 pazienti (76,6%) presentavano diarrea al momento della diagnosi . In 35/60 pazienti (58.3%) era presente anemia sideropenica e in 14/60 (23,3%), 12 dei quali di sesso femminile, era presente ipoalbuminemia Nel 41,6% dei casi (25 pazienti, 21 dei quali di sesso femminile) era presente osteoporosi. Solo 3 pazienti su 60 erano completamente asintomatici (5%). In 4/60 non vi è stata risposta alla dieta aglutinata, contro 19/1293 pazienti diagnosticati in età adulta. Sette pazienti su 60 (11.6%) hanno rifiutato la dieta priva di glutine o hanno avuto una scarsa "compliance" ad essa. Nella popolazione adulta il 20% dei pazienti mostrava scarsa "compliance". La complicanza più frequente è rappresentata dai linfomi, presenti in 5/60 pazienti (8.3%) . Il linfoma è risultato, inoltre, la causa di morte più frequente nella popolazione celiaca studiata, sia adulta che, soprattutto, anziana: il 8,3% degli anziani e lo 0,5% degli adulti sono deceduti per tale malattia. . Le patologie più frequentemente associate negli anziani sono risultate essere: epatite cronica in 8 casi, diabete mellito in 4 casi, dermopatie in 3 casi. In 18/45 (40%) soggetti di cui si disponevano dati circa l'età di esordio della malattia è stato possibile stabilire che l'epoca di esordio dei sintomi è iniziata oltre l'età geriatrica. CONCLUSIONI La Malattia Celiaca (MC) è una enteropatia caratterizzata da alterazioni istologiche caratteristiche sebbene non specifiche, ma da manifestazioni cliniche estremamente variabili, motivo per cui per molti anni è stata erroneamente ritenuta una patologia di esclusiva pertinenza dell'infanzia, nella quale i segni di malassorbimento quali la diarrea, la steatorrea, la perdita di peso e la malnutrizione severa avevano indotto la diagnosi. A partire dagli anni '70, parallelamente alla descrizione di forme cliniche di MC diverse da quelle classiche di malassorbimento, grazie all'introduzione di test di screening relativamente semplici e sensibili, eseguiti, ad esempio, nei familiari di pazienti affetti da MC si è assistito non solo ad un aumento del numero totale di biopsie duodenali endoscopiche e quindi di diagnosi, ma soprattutto ad un'innalzamento dell'età di diagnosi; da allora si è iniziato a parlare di MC dell'adulto. Anche l'accertamento di un tipico aspetto endoscopico nel duodeno come l'alterazione delle pliche di Kerkring, caratteristico della MC, ha indotto alla esecuzione di un maggior numero di biopsie duodenali rivelatesi diagnostiche. Rivedendo le diagnosi effettuate nella nostra casistica (dei Centri di Bologna e di Roma) a partire dal 1972 fino alla fine degli anni '80, abbiamo notato che, soprattutto dall'inizio di quest'ultima decade, c'è stato un aumento notevole delle diagnosi di MC in età adulta ed in particolare di quelle forme cliniche meno "gravi", che in passato rimanevano sicuramente misconosciute. Se, infatti, negli anni '70 il 90% dei pazienti veniva diagnosticato in base alla diarrea e perdita di peso, e, ad esempio, l'ippocratismo digitale era un segno poco rappresentato, descritto solo nel 4,5% di tutti i pazienti, nel periodo '84-'89 solo il 50% dei casi di MC presentava diarrea e perdita di peso, mentre ben il 40% manifestava clubbing ungueale. E' logico pensare che, se solo negli ultimi anni si è iniziato a diagnosticare la celiachia nell'adulto, molti celiaci non diagnosticati perchè sfuggiti alla diagnosi in età pediatrica o perchè oligosintomatici, a meno che non siano deceduti nel frattempo, dovrebbero, a questo punto, aver raggiunto l'età senile. Alcuni lavori hanno riportato nelle loro casistiche una percentuale di diagnosi oltre i 60 anni variabile dal 4 al 25%, con manifestazioni cliniche sostanzialmente sovrapponibili a quelle descritte nell'adulto, e questo, se da un lato riflette la maggiore attenzione da parte dei medici verso forme cliniche meno palesi clinicamente, dall'altro potrebbe denunciare una certa disattenzione da parte dei colleghi che li hanno preceduti, probabilmente tanto maggiore quanto più alto risulta essere il numero di diagnosi effettuate in età senile (6,7%). In un lavoro pubblicato nel 1994 su Gut, il 16 % dei pazienti aveva la dermatite erpetiforme ed uno di questi pazienti ha avuto la diagnosi di MC dopo 34 anni di malattia dermatologica manifesta. Il 35,7% aveva una storia di anemia variabile da 0 a 50 anni. E' possibile però che in alcuni pazienti i sintomi clinici non si manifestino nell'infanzia o in età adulta, e che quindi la diagnosi non sia fatta in ritardo ma solo quando la malattia si è resa clinicamente manifesta. Questo non è certamente il caso della casistica riportata da Hankey e Holmes, ma potrebbe riflettere quanto è successo nella popolazione studiata dal nostro gruppo. Nella nostra popolazione anziana la maggior parte delle diagnosi sono state effettuate sulla base di sintomi clinici per nulla "atipici": nel 76% dei casi era presente infatti diarrea, nel 60% perdita di peso e nel 23% ipoalbuminemia, mentre solo il 5% era completamente asintomatico al momento della diagnosi. E' difficile pensare che tali sintomi sarebbero potuti rimanere per tanti anni male interpretati, soprattutto se si confrontano con quelli descritti in precedenza in un nostro lavoro sulla popolazione adulta: in quella casistica, nella popolazione diagnosticata tra il 1984 ed il 1989 solo il 54% dei pazienti manifestava diarrea, il 55% perdita di peso e il 23% ipoalbuminemia. Nella nostra casistica il rapporto maschio femmina tra i pazienti geriatrici è sovrapponibile a quello tra gli adulti (1:2,8 tra i geriatrici e 1:2,4 negli adulti). Nel 7% dei pazienti geriatrici diagnosticati non vi è stata risposta alla dieta aglutinata. Una così alta percentuale di non responders potrebbe essere spiegata con una più lunga durata di esposizione al glutine da parte di questi pazienti. Sarà importante controllare nel tempo questo gruppo di pazienti, che potrebbero essere più a rischio di sviluppare complicanze come il linfoma. Questa è infatti la complicanza più frequente nella popolazione geriatrica da noi indagata, presente nel 8,3% dei pazienti studiati; il linfoma è risultato essere, inoltre, la causa di morte più frequente negli stessi pazienti: il 3,5% sono deceduti per tale causa, mentre nella popolazione adulta il linfoma è stato responsabile della morte dello 0,5% dei pazienti. Una percentuale così alta di linfomi in una popolazione celiaca geriatrica è quanto ci saremmo potuti aspettare: secondo alcuni Autori infatti il linfoma del piccolo intestino è più frequente in quei casi in cui la malattia celiaca si manifesta tardivamente. Questo è in contrasto con l'opinione di Altri, secondo i quali il linfoma sarebbe più rappresentato nei celiaci con una lunga durata di malattia; i nostri pazienti non hanno avuto una lunga durata di malattia (clinicamente manifesta), ma non possiamo escludere che non possano avere avuto una lunga latenza, o addirittura una lunga durata di malattia silente. Si ipotizza che il linfoma sia più frequente nei pazienti che "sono" celiaci, ed i pazienti nei quali la malattia si è manifestata più tardivamente sono celiaci che hanno avuto una più lunga esposizione al glutine rispetto a quelli con esordio clinico più precoce. Italo De Vitis Istituto di Medicina Interna e Geriatria Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma Gasbarrini Istituto di Medicina Interna, Policlinico "A. Gemelli" Università Cattolica del Sacro Cuore - Roma |
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