- gli AbTg (anticorpi
antitereoglobulina, presenti nel 50-60% dei casi),
- gli AbTPO (anticorpi
antitireoperossidasi, presenti in oltre il 90% dei casi);
- possono riscontrarsi inoltre
anticorpi anti recettore del TSH di tipo "bloccante"
(TSH-blocking-Ab), responsabili della variante atrofica,
oppure, anticorpi anti recettore del TSH "stimolanti"
(TSHRAb), responsabili del transitorio o a volte permanente
ipertiroidismo che, raramente, si riscontra nei pazienti affetti da
tiroidite di Hashimoto (hashitossicosi o ipertiroidite).
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Gli anticorpi
anti-tireoperossidasi (AbTPO), diretti contro uno dei maggiori
antigeni tiroidei, svolgono un ruolo determinante nella patogenesi della
tiroidite di Hashimoto e dell'ipotiroidismo che spesso ne consegue.
Gli AbTPO infatti possono danneggiare le cellule follicolari tiroidee
fissando il complemento o attivando cellule natural killer
responsabili della citotossicità anticorpo-dipendente cellulo-mediata (ADCC).
Gli anticorpi anti-tireoglobulina (AbTg), pur non fissando il
complemento, formano immunocomplessi con la tireoglobulina che si
depositano lungo la membrana dei follicoli tiroidei attivando il
complemento.
Si ritiene, ad oggi, che sia gli AbTPO che gli AbTg esercitano la loro
azione lesiva solo dopo che i follicoli tiroidei sono già stati danneggiati
da meccanismi dell'immunità cellulo-mediata.
Gli anticorpi bloccanti il recettore del TSH (TSH-Bab)
contribuiscono alla patogenesi dell'atrofia ghiandolare e dell'potiroidismo
nell'Hashimoto e sono inoltre responsabili della insufficienza tiroidea
transitoria che si osserva in alcuni neonati di madri affette da tiroidite
autoimmune.
In corso di Hashimoto è stata descritta anche la presenza di anticorpi
anti NIS (sodio-iodio symporter) e anticorpi anti T3 e anti T4.
I Linfociti T citotossici, specifici per antigeni tiroidei, possono
danneggiare le cellule follicolari con meccanismi diretti (perforina)
o liberando citochine ad azione tossica, come l'Interleuchina-1,
inibenti la funzione tiroidea o favorenti l’apoptosi (morte
cellulare programmata) delle cellule tiroidee.
In particolare alcune citochine, tra cui l'IL-1, inducono
l'espressione di un recettore di superficie detto "fas"
sulle cellule tiroidee; e poiché i linfociti T citotossici esprimono
in superficie il "fas-ligando", quest'ultimo, interagendo
con il fas espresso dai tireociti, ne determina la morte apoptotica
attraverso l'attivazione di segnali intracellulari su una struttura
citoplasmatica detta "death domain".
Istologicamente è
caratteristica la marcata e diffusa infiltrazione linfocitaria della
ghiandola tiroidea e per questo Hashimoto la definì "struma
linfomatoso".
Inoltre, in pazienti con tiroidite di Hashimoto, l'analisi in vitro degli
infiltrati linfocitari intratiroidei, ha dimostrato un'abbondante presenza
di linfociti T CD4 Th1 e CD8, capaci di produrre elevati livelli di IFN
gamma e TNF alfa e dotati di capacità citotossica.
E' stato altresì dimostrato che la gran parte dei linfociti T intratiroidei
autoreattivi specifici per la tireoperossidasi (TPO) sono di tipo Th1,
mentre quelli specifici per il recettore del TSH possono essere di tipo
Th0.
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In alcuni casi gli
infiltrati linfocitari possono formare tipici follicoli linfoidi
con centro germinatvo.
Ciò perché l'espressione a livello degli infiltrati linfocitari della
funzione helper nei confronti dei linfociti B autoreattivi ne induce la
proliferazione fino, appunto, alla formazione di follicoli linfatici.
Il grado di infiltrazione linfocitaria correla con il livello degli
anticorpi circolanti.
La colloide è spesso scarsa. Istologicamente si può osservare vario grado
di fibrosi, soprattutto nelle tiroiditi di vecchia data, con
obliterazione dei follicoli tiroidei. Frequente è la rottura della
membrana basale follicolare e la distruzione dei tireociti. Le restanti
cellule epiteliali, invece, sono di solito più grandi della norma, con
citoplasma chiaro e presenza di tipiche strutture ossifile (mitocondri).
Queste ultime sono le cellule di Askanazy e sono patognomoniche
della tiroidite cronica autoimmune.
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La variante
ossifila della tiroidite si caratterizza per la prevalenza di cellule
di Askanazy e di infiltrazione linfocitaria rispetto alla variante
fibrosa in cui prevale appunto la fibro-atrofia ghiandolare con
infiltrato prevalentemente plasmacellulare.
Tuttora la dizione di
tiroidite di Hashimoto viene riservata ai casi con ipertrofia ghiandolare
tiroidea e positività autoanticorpale con o senza ipotiroidismo.
E' una patologia autoaggressiva che porta nel tempo alla
distruzione autoimmune del parenchima ghiandolare con evoluzione graduale
in ipotiroidismo clinico sintomatologico ed ormonale. Quasi mai necessita
di trattamento chirurgico tranne che nei rarissimi casi di variante
"dolorosa" di tiroidite autoimmune e nei casi di degenerazione
nodulare maligna. A tal proposito, ancora controversi risultano gli studi
che dimostrerebbero un'aumentata incidenza di neoplasie maligne (linfomi)
in corso di tiroidite autoimmune. Altra variante è la tiroidite
autoimmune post-partum, che esordisce subito dopo il parto, con
ipertiroidismo transitorio, seguito da ipotiroidismo e successivo frequente
ritorno ad una funzione ghiandolare normale.
La diagnosi si fonda sul riscontro degli autoanticorpi
tiroidei elevati a titolo diagnostico e sull'esame ecografico
che, in mani esperte, è diagnostico di malattia autoimmune tiroidea
evidenziando la caratteristica "ipoecogenicità parenchimale a
zolle", talvolta con aspetto pseudo-nodulare, espressione di
cronico e progressivo danno autoimmune ghiandolare.
Più semplicemente, la tiroide assume ecograficamente un caratteristico
aspetto maculato "a pelle di leopardo".
Nelle forme più severe ed avanzate di tiroidite autoimmune l'ecografia
può evidenziare una ghiandola tiroidea completamente scura (pattern dark
gland), svuotata dalle strutture follicolari, oppure, una tiroide
atrofica ad evoluzione fibrotica iperecogena.
Più elevato è il
titolo degli anticorpi anti-tiroide, maggiore è l'aggressività autoimmune
della malattia e più alta è la probabilità di evoluzione in ipotiroidismo.
Gli anticorpi AbTPO infatti, oltre ad essere gli anticorpi specifici per la
diagnosi di Hashimoto, hanno anche valore predittivo, assieme
all'elevazione del TSH, per l'eventuale progressione in franco
ipotiroidismo: pazienti con AbTPO tra 1:100 e 1:200 sviluppano
ipotiroidismo nel 23%, tra 1:490 e 1:800 nel 33%, maggiori di 1:800 nel 53%
dei casi.
E' una malattia che diagnosticata precocemente e seguita nel tempo ha
un'ottima prognosi. Può decorrere clinicamente silente per anni anche con
debole positività autoanticorporale.
Se non curata al momento giusto porta all'ipotiroidismo clinico
sintomatologico con insorgenza di astenia, depressione, incremento
ponderale, alterazioni mestruali, secchezza della pelle con aumento delle
rughe, cadute dei capelli, perdita di memoria, facile faticabilità, aumento
del colesterolo nel sangue, anemia etc. e al gozzo compensatorio (aumento volumetrico
della ghiandola tiroidea).
Nella maggior parte dei casi è a trasmissione familiare
(correlazione con gli aplotipi HLA B8 DR3 e HLA DR5) e ad esserne colpiti
sono principalmente i parenti di 1° grado e di sesso femminile (figlie
femmine, sorelle, madri, zie).
Pertanto è utile lo screening dei familiari di 1° grado e di sesso
femminile dei pazienti affetti da tiroidite cronica autoimmune di Hashimoto
per l'ev. individuazione e cura precoce dei componenti affetti.
La terapia consiste nel trattamento sostitutivo con levotiroxina
(l'ormone prodotto dalla ghiandola tiroidea) con dosi che vanno calibrate
sul singolo paziente, tenendo conto dell'età, del peso, dell'ecografia e
delle eventuali patologie associate (ipertensione, cardiopatia,
osteoporosi, s. ansiosa, etc.).
L'ormone tiroideo (levo-tiroxina) va assunto preferibilmente la mattina a
digiuno e comunque almeno a due ore di distanza dalla colazione.
Tale accorgimento permette un assorbimento ottimale dell'L-T4 che in media
è del 75% della dose somministrata.
Il caffè ed il succo o la spremuta di pompelmo hanno un
effetto di sequestro dell'ormone tiroideo, compromettendo il suo ottimale
assorbimento e pertanto vanno assunti almeno a tre ore di distanza
dall'assunzione dell'Eutirox o Tirosint cpr.
Vi sono condizioni patologiche particolari che comportano diarrea e/o
malassiorbimento intestinale come la celiachia, ma soprattutto l’intolleranza
al lattosio, che richiedono dosi elevatissime di ormone tiroideo per la
correzione dell'ipotiroidismo, sino a 900 mcg/ die nel caso
dell'intolleranza al lattosio.
Pertanto in caso di mancato compenso di un ipotiroidismo con dosi elevate
di ormone tiroideo bisogna sempre sospettare la coesistenza di sindrome da
malassorbimento o di intolleranza al lattosio ed effettuare gli
accertamenti necessari per escluderli (test dell'idrogeno espirato o
"breath test al lattosio", abtTG, AGA, EMA).
Altre patologie che comportano malassorbimento dell'L-T4 sono la S. di
Crohn e le gastriti.
Anche l'assunzione di alcuni farmaci può interferire negativamente con
l'assorbimento della levo-tiroxina che pertanto va assunta almeno a tre ore
di distanza.
I farmaci con la più alta interferenza con l'assorbimento
dell'ormone tiroideo sono:
- il sucralfato (sucralfin, antepsin),
- l'omeprazolo (omeprazen) e derivati,
- l'ezetimibe,
- il carbonato di calcio,
- l'idrossido di alluminio (maalox),
- il sevelamer,
- la simvastatina (sivastin, etc),
- la colestiramina (questran),
- il cromo picolinato,
- i sali ferrosi (ferrograd, etc),
- la crusca e le fibre.
L'esame principale
che depone per l'inizio dell'insufficienza funzionale tiroidea è il TSH
(ormone tireotropo prodotto dall'ipofisi) che, quando si eleva al di sopra
del limite massimo di 3,5 mcU/ml, fa porre diagnosi di ipotiroidismo sub-clinico,
anche se con iniziale normalità degli ormoni tiroidei FT4 ed FT3.
Il dosaggio periodico del TSH ci consente il corretto follow-up della
malattia e ci permette di variare periodicamente la dose di ormone tiroideo
da somministrare.
Il range di sicurezza del TSH sotto trattamento, tale da garantire
il riposo funzionale della tiroide malata, ma tale da evitare effetti
collaterali cardiovascolari, metabolici, osteoporotici e al sistema
nervoso, è compreso tra 0,60 e 1 mcU/ml, anche se la dose va calibrata
sempre sul singolo paziente, sulla base anche della tollerabilità
individuale.
La terapia con tiroxina può però demodularsi per la progressione
della malattia, per variazioni importanti del peso corporeo o per eventuale
insorgenza di gravidanza che necessita quasi sempre aumento posologico di
circa il 30% dell'ormone tiroideo somministrato, pena il rischio di
ipotiroidismo e di minacce di aborto.
Elevata è l'associazione sincrona o metacrona tra la tiroidite di Hashimoto
con altre malattie autoimmuni di altri organi ed apparati (psoriasi,
vitiligine, diabete, alopecia, iposurrenalismo, piastrinopenia, sindrome di
Sjiogren, rettocolite ulcerosa, lupus, artrite reumatoide, menopausa
precoce, etc.) che devono essere prontamente diagnosticate e trattate. Ed
inoltre frequenti sono le forme di tiroidite autoimmune
"iatrogene", slatentizzate dalla terapia con amiodarone per il
trattamento di aritmie cardiache, con litio per le sindromi
maniaco-depressive e con interferone per la terapia delle epatiti HCV positive.
Da ciò ne scaturisce la necessità di un corretto e periodico follow-up
clinico-ecografico ed ormonale della malattia che, ben trattata e seguita
nel tempo, non comporta alcun problema di salute per i pazienti affetti,
quoad vitam e valetudinem.
FONTE: http://www.vincenzopiazza.it
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