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04/01/13

ASPETTI GIURIDICI E PROFILI DÌ RESPONSABILITA’ NEL TRIAGE DÌ PRONTO SOCCORSO OSPEDALIERO

clip_image002[1]ASPETTI GIURIDICI E PROFILI DÌ RESPONSABILITA’ NEL TRIAGE DÌ PRONTO SOCCORSO OSPEDALIERO
I pronto soccorso ospedalieri sono, come è noto, oberati da richieste di prestazioni non sempre proprie. La tendenza, di carattere internazionale, consiste in un aumento annuo di prestazioni o soccorso stimato intorno all'otto per cento. I motivi di tale costante aumento vengono fatti
risalire a una serie congiunta di fattori quali la crisi della figura dei medico di medicina generale, l'insufficiente risposta che può dare la sanità extra ospedaliera, la possibilità di esentare la prestazione dalla compartecipazione alla spesa (ticket).!"

Questo fa si che i tempi di attesa di una prestazione aumentino, facendo correre il rischio all’utenza di non avere la prestazione erogata in tempi utili con gravi danni.
La funzione di triage (dal francese Trier, scegliere) nasce per ovviare a questi problemi: il triage pronto soccorso deve essere distinto dal triage nella medicina dei disastri e da quello telefonico previsto dal D.P.R. 27 marzo 1992, relativo alle centrali operative del 118.
Gli obiettivi dichiarati dell'attività di triage si possono quindi riassumere nel "mantenere
1’efficienza complessiva della struttura di pronto soccorso" e nel "ridurre al minimo possibile il ritardo nell’intervento sul paziente urgente".
Il Ministero della sanità ha emanato delle linee-guida per il sistema di emergenza-urgenza in azione del D.P.R. .27 marzo 1992. Un apposito paragrafo è denominato "funzioni di triage".Si legge testualmente che "all'interno dei DEA deve essere prevista la funzione di triage, come momento di accoglienza e valutazione dei pazienti in base a criteri definiti che consentano di stabilire le priorità di intervento. Tale funzione è svolta da personale infermieristico adeguatamente formato, che opera secondo protocolli prestabiliti dal dirigente del servizio".
L'attività di triage di pronto soccorso è quindi affidata al personale infermieristico che però deve essere "adeguatamente formato" e deve operare secondo protocolli prestabiliti dal dirigente del servizio".
Inoltre sono state emanate successivamente specifiche linee guida per il triage intraospedaliero dove si specifica che la "funzione di triage deve essere attivata in tutte le unità operative o soccorso-accettazione,purché correlata al numero degli accessi". Opportunamente si ha modo di precisare che "le aziende sanitarie devono garantire le risorse per assicurare la funzione di
triage". Tale funzione deve essere assicurata in ogni caso e continuamente in quei presidi con oltre venticinquemila accessi per anno. Le strutture che pur essendo al di sotto dei venticinquemila accessi, si trovano a operare in periodi di elevati flussi devono garantire la funzione di triage proporzionalmente alle necessità.
A tal proposito, secondo le linee guida del 2001 deve essere svolto da un infermiere "sempre presente nella zona di accoglimento del pronto soccorso e in grado di considerare i segni e I sintomi del paziente per identificare condizioni potenzialmente pericolose per la vita e
determinare un codice di gravità per ciascun paziente al fine di stabilire le priorità di accesso alla visita medica".
Forti dubbi di coerenza logica se non addirittura di legittimità viene posta nella parte in cui le linee guida specificano che "l'infermiere opera sotto la supervisione del medico in servizio, responsabile dell'attività, e secondo protocolli predefiniti, riconosciuti e approvati dal responsabile del servizio di pronto soccorso-accettazione o dipartimento di emergenza-urgenza e accettazione (DEA).
Stupisce un'affermazione di questo tipo per un duplice ordine di motivi: di coerenza logica e di non fattibilità. Se è pur vero che è corretto definire l'attività di triage come un'attività di carattere "medico-infermieristico" o più correttamente "infermieristico - medica" la responsabilità del medico in servizio non può certo estendersi al comportamento dell'infermiere di triage. Tutto in realtà ruota intorno al concetto di "supervisione" indicato dal documento. Dato che la
super-visione non è un dato giuridico è assolutamente indispensabile cercare nella letteratura che si occupa di management cosa si intenda per supervisione.
Tra i più autorevoli esperti del settore a livello mondiale, uno studioso come Minztberg definisce la supervisione come il "coordinamento attraverso una persona che assume la responsabilità del lavoro di altri, dando loro ordini e controllando le loro azioni". Se questo è il concetto di supervisione deve essere detto che è assolutamente non corrispondente al vero il fatto che l'infermiere operi sotto la supervisione medica, soprattutto tenendo conto del fatto che i
protocolli devono essere determinati da atti professionali di natura infermieristica. Non si vede infatti come oggi possa il medico supervisionare l'operato infermieristico visto il complesso normativo che attribuisce in modo in equivoco l'autonomia agli infermieri e soprattutto verso un'attività che in sala di triage è infermieristica.
Interessante, infine, I'allermazione che il " t triage è patrimonio del pronto soccorso e, ove sussi sta la rotazione del personale in ambito dipartimentale deve essere condiviso da tutto il personale infermieristico del dipartimento di emergenza". Vista l'attuale difficoltà di rotazione del personale e Io stato generalmente embrionale dei dipartimenti ospedalieri quest'ultima sembra essere più una previsione programmatica a lungo periodo che non una vera e propria indicazione tassativa.
La funzione di triage non presuppone una diagnosi medica, bensì si caratterizza per essere un processo mediante il quale si opera una "selezione dei pazienti con scelta delle priorità".24
Il processo decisionale si basa sull'obiettività rilevabile all'esame visivo, sui sintomi dichiarati dal paziente e su eventuali domande poste dall'infermiere riguardanti il tempo di insorgenza dei sintomi, e si conclude con l'assegnazione di un codice di gravità che può essere un codice numerico o, più frequentemente un codice colore.
Particolare importanza assume quindi la figura dell'infermiere "triagista" e la sua preparazione. Essendo state abrogate le norme mansionaria li, il profilo professionale diventa il principale punto di riferimento normativo dell'esercizio professionale.
Leggiamo testualmente al terzo comma dell'art. I del D.M. 739/1994: "L'infermiere: partecipa alla identificazione dei bisogni di salute della persona e della collettività; Identifica i bisogni di assistenza infermieristica della persona e della collettività e formula i
relativi obiettivi;
pianifica, gestisce e valuta l'intervento assistenziale infermieristico".
Concentreremo la nostra attenzione sul punto 1): il verbo "partecipa" indica un'azione che l'infermiere attua insieme ad altri. Con il contributo di altri, ma può anche essere inteso come individuazione in momenti cronologici diversi. Il malato viene prima visto dall'infermiere che lo seleziona in base al codice di gravità e poi dal medico che provvede alla visita e alla diagnosi. una tipica azione che la più aggiornata manualistica infermieristica classifica come azione collaborativa dell'infermiere. Il punto 1) è senza dubbio il punto che più si attaglia alla attività di triage.
Il comma 2) infatti è il punto che attribuisce maggior autonomia agli infermieri, ma limita il punto alla sola identificazione dei bisogni di assistenza infermieristica, bisogni certamente non prioritari in un pronto soccorso ospedaliero.
Non essendo l'attività di identificazione dei bisogni una attività per sua natura statica, è del tutto indispensabile procedere, rispetto ai tempi prefissati, alla doverosa attività di valutazione, attività fondante di ogni processo di individuazione dei bisogni.
Rispetto ai primi interventi da eseguire nell'area di triage, dando per scontata la liceità di una serie di atti che l'infermiere può eseguire in assenza del medico, per gli atti da eseguire dietro prescrizione medica si consiglia l'adozione di protocolli e linee guida che possono surrogare l'assenza di una prescrizione. La stessa scheda infermieristica di triage potrebbe essere considerata di fatto una prescrizione ai primi interventi diagnostici (prelievo capillare ematico, ECG ecc.).
Il triage non può nei fatti mai essere costruito dal personale infermieristico (e medico) al di fuori della sua connotazione istituzionale (selezione dei pazienti e scelta delle priorità) come a esempio la impropria "dimissione" di un paziente che si è presentato in un pronto soccorso, o peggio ancora per un rifiuto alle cure o alla stessa visita medica, ipotesi che integra gli estremi del reato di rifiuto di atti d'ufficio.
Triage, consenso informato e diritto alla riservatezza
Il principio del consenso informato è ormai pienamente operante nel nostro ordinamento giuri-dico. Il codice deontologico dell'infermiere stabilisce che all'art. 4.5 che l'infermiere "garantisce le informazioni relative al piano di assistenza ed adegua i l livello di comunicazione alla capacità del paziente di comprendere" e inoltre "si adopera affinché la persona disponga di informazioni globali e non solo cliniche e ne riconosce i l diritto alla scelta di non essere informato".
Come viene riconosciuto anche dalla dottrina medico-legale l'informazione al paziente in triage e l'acquisizione al consenso di pratiche che vengono svolte dall'infermiere - anche come anticipazione di attività - compete all'infermiere "trattandosi di atto che professionalmente a lui
compete e sulle cui caratteristiche, dunque egli può fornire la più esaustiva descrizione". Bisogna inoltre tenere presente che la raccolta dati da parte dell'infermiere avviene in strutture - le sale di triage - che spesso per motivi di non adeguamento sono ancora in buona so-stanza le vecchie sale di attesa e quindi non predisposte per la tutela della riservatezza dei dati personali. In questi casi comunque, nei limiti del possibile, devono essere attivate tutte le procedure e le accortezze possibili atte a salvaguardare la tutela della privacy del paziente, come ber puntualizzato anche dalle linee guida ministeriali del 2001 (vedi schema oltre) e come già ricordato precedentemente dalla dottrina.'-" Per l'infermiere la tutela della riservatezza delle informazione e dei dati relativi alla persona è anche un obbligo deontologico (art. 4.6 Codice deontologico Federazione nazionale collegi infermieri).
Obblighi di registrazione
In conformità con la tendenza attuale a conferire all'infermiere un maggior numero di obbligò di registrazione, è realmente opportuno che l'attività di triage sia attentamente documentata. L'istituente scheda infermieristica di triage è senza alcun dubbio da considerarsi "atto pali plico" e come tale soggetta alle norme penalistiche sulla falsità documentale.
Onde evitare problemi di liceità è bene costruirla più come "raccolta dati" e non "anaipnes piuttosto che con nomi di diagnosi mediche, in quanto la diagnosi medica è l'elaborazione intellettuale di dati che convergono dall'esame obiettivo e dagli esami diagnostici.
La locuzione "diagnosi infermieristica" può essere tranquillamente usata, ma probabilmente è di scarsa utilità in un contesto del genere.
Del tutto indispensabili sono l'ora di inizio e l'ora di fine dell'attività di triage. E ormai una caratteristica consolidata anche in altre pratiche sanitarie e sancita da precise normative (per esci pio la trasfusione di sangue, la registrazione dell'atto operatorio).
Altri requisiti minimi possono ravvisarsi nella documentazione delle domande formulati nella relativa assegnazione del codice colore, oltreché per le attività successive di rivalutazioni.
In linea con le più recenti disposizioni ministeriali è importante che la scheda di triage assolva ai requisiti della chiarezza, della veridicità e della completezza.
Essendo un documento di nuova istituzione è possibile porsi il problema della conservazione. La scheda infermieristica di triage deve essere conservata, unitamente alla cartella clinica di ingresso caso di ricovero ospedaliero, oppure no? La risposta non è agevole in quanto trattasi pre-terapeutico, in cui comunque possono essere attuati precisi e importanti interventi dia-e terapeutici. A parere di chi scrive è bene prevedere la conservazione delle schede di per i l periodo massimo previsto per una causa civile di risarcimento danni (dieci anni).
precisare che la scheda infermieristica di triage è compilata dall'infermiere professionale deve essere predisposta o quanto meno approvata dal "dirigente responsabile del servi-pronto
soccorso o del dipartimento di emergenza e urgenza.
L’infermiere, cioè, non è il d o m i n u s completo della situazione, come Io è invece per la cartella infermieristica.
Profili di responsabilità
L’infermiere come del resto qualsiasi professionista,risponde in sede penale,civile e disciplinare. Esula ovviamente dalla presente trattazione la disamina dei vari tipi di responsabilità. Ci limiteremo a sottolineare alcuni aspetti.
La congiuntura,la pertinenza e l’adeguatezza dei protocolli di triade sono di competenza del dirigente medico del pronto soccorso, come per altro ribadito dalla intesa Stato- Regioni sulle linee guida del 15 aprile 1996, laddove si legge che l'attività di triage "è svolta da personale infermieristico adeguatamente formato, che opera secondo i protocolli prestabiliti dal dirigente servizio". Tali protocolli dovranno rispondere alla più aggiornata ed evoluta lette-scientifica in materia, dovranno cioè essere al passo con le più moderne leggi sarti del , La letteratura scientifica che si è occupata dell'argomento ha specificato che sono toni indispensabili dei protocolli "la correttezza, l'applicabilità, la chiarezza e la trasparenza, la con divisibilità e la flessibilità, ovvero la mutabilità nel tempo in funzione dell'aggiornamento e delle conoscenze scientifiche".
Come oramai emerge dal dibattito scientifico, professionale, deontologico e dalle indicazioni legislative, i protocolli in questione devono essere basati su prove di efficacia (evidence medicine e evidence based nursing). Compete all'infermiere l'attivazione di processi di mento dei protocolli in base all'esperienza maturala;
L’infermiere risponde della corretta applicazione dei protocolli e di questa attività risponde se-gli usuali canoni della responsabilità colposa per negligenza, imperizia e imprudenza; mi maggiori derivano da una sottostima nell'assegnazione dei codici colore di gravità che porterebbero l'infermiere a esporsi per i reati di lesioni personali colpose e, nei casi più per omicidio colposo
Non risulta ammissibile il cosiddetto triage out, attività consistente in una impropria dimissione del paziente senza valutazione medica. Il paziente che si presenta al pronto soccorso ha il diritto di essere visitato dal medico, non essendo consentito all'infermiere il potere ne. Affermazione quest'ultima da applicare con la giusta ragionevolezza, soprattutto di richiesta di accesso del tutto improprio alle prestazioni di pronto soccorso.
Alcuni autori ritengono che in situazioni del tutto particolari come le maxi emergenze L'infermiere possa rinviare i pazienti che si presentano al pronto soccorso al proprio medico curante"senza essere visitati da un medico ospedaliero" Essendo il triage un'attività in via di implementazione non risulta allo stato una casistica giurisprudenziale.
Riportiamo per esteso le nuove linee guida sul triage di pronto soccorso pubblicate sulla
Gazzetta
Ufficiale.
L’infermiere e,la defibrillazione con defibrillatore semiautomatico
La legge 3 aprile 2001, n. 120 "Utilizzo dei defibrillatori semiautomatici in ambiente extra ospedaliero" si rivolge al "personale sanitario non medico" e "al personale non sanitario che abbia ricevuto una formazione specifica nelle attività di rianimazione cardiopolmonare". Data l'importanza e la brevità dell'articolato, riportiamo la legge per esteso, che per altro si compone di un solo articolo.
Art 1
1. E’ consentito l'uso del defibrillatore semiautomatico in sede extra ospedaliera anche al personale sanitario non medico, nonché al personale non sanitario che abbia ricevuto una formazione specifica nelle attività di rianimazione cardio-polmonare".
2. Le regioni e le province autonome disciplinano il rilascio da parte delle aziende sanitarie locali delle aziende ospedaliere dell'autorizzazione all'utilizzo extra ospedaliero dei defibrillatori da
parte del personale di cui al collima 1, nell'ambito del sistema di emergenza 118 competente per territorio o, laddove non ancora attivano, sotto la responsabilità dell’azienda unità sanitaria locale o dell'azienda ospedaliera di competenza, sulla base dei criteri indicati dalle linee guida adottate dal Ministro della sanità, con proprio decreto, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge.
Per quanto riguarda la posizione del personale sanitario non medico, in buona sostanza personale infermieristico, si specifica che "è consentito l'uso del defibrillatore anche ..."
Non si può non rilevare una certa parzialità del legislatore che spesso, quando si rivolge alle professioni sanitarie non mediche, si rivolge a loro come se fosse sempre "personale" cioè un gruppo di persone alle dipendenze di qualcuno e non come professionisti che esercitano la loro professione come dipendenti o come liberi professionisti.
I n secondo luogo il legislatore ha evitato accuratamente di attribuire la competenza in toto agli infermieri, introducendo cautele lessicali già viste in passato. L'art. 2 dell'abrogato mansionario degli infermieri, ex D.P.R. 14 marzo 1974, n. 225, precisava all'ultimo comma che e r a "con- sentita" agli infermieri professionali la pratica delle iniezioni endovenose. In virtù di tale disposto il Ministero della sanità aveva precisato che la pratica della iniezione endovenosa era da considerarsi "pratica medica" (circolare Ministero della sanità 12 aprile 1996, n. 28), che poteva in certi ambiti ospedalieri e assimilabili agli ospedalieri essere delegata all'infermiere.
Nella storia dell'abilitazione all'esercizio professionale dell'infermiere la locuzione "è consentita" assume tradizionalmente questa valenza.
I lavori preparatori e la relazione di accompagnamento" a questa legge confermano questa lettura.
Nella relazione di accompagnamento al disegno di legge si legge infatti che:
1. I defibrillatori "vengono di fatto sempre più spesso utilizzati anche da personale paramedico nonostante i divieti tuttora vigenti, col duplice rischio di iniziative giudiziarie ta li da paralizzare la diffusione di uno strumento prezioso p e r l a vita umana, cioè per i l bene costituzionale per eccellenza, e di utilizzazioni indiscriminate del defibrillatore da parte di chi non sia stato preventivamente addestrato al suo impiego";
2. devono essere eliminati "gli ostacoli giuridici vanno eliminati, nel rispetto di condizioni di
sicurezza nell'uso del defibrillatore semiautomatico esterno da parte dei personale para- medico";
3."questo disegno di legge si prefigge di creare una normativa che permetta a soggetti diversi dagli esercenti la professione medica di attivare lecitamente un defibrillatore
4. "Comunque che l'uso del defibrillatore deve essere considerato come un "atto medico" cioè
Stretta competenza di personale laureato in medicina ed abilitato alla professione".
Infine si precisa che essendo "ancora in vigore il decreto del Ministro della sanità 14 settembre
1994, n. 739, che individua le principali funzioni attinenti all'assistenza infermieristica nella alone delle malattie, nell'assistenza dei malati e dei disabili di tutte le età e nell'educa Sanitaria: mansioni sicuramente troppo generiche per consentire l'ammissibilità dell'alti dei defibrillatori da parte del personale infermieristico e più in generale paramedico e no la più recente legge 10 agosto
2000, n. 251, intitolata "Disciplina delle professioni sa-Infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione nonché della professione a", introduce norme significative ai tini di cui trattasi".
Il nostro ordinamento, proprio nella XIII legislatura, aveva imboccato una strada ben chiara fazione all'esercizio professionale non più basata su norme mansionaria li o di tipo man e, ma sugli ormai noti criteri-guida ampi all'esercizio professionale quali quelli relativi tenuto dei profili professionali, della formazione ricevuta e del codice deontologico. Il criterio limite è dato dalle competenze previste per il medico.
Questi criteri sono volutamente ampi e flessibili e soprattutto nascono in assenza di una predizione legislativa di atto medico.
e il silenzio, nella relazione di accompagnamento al disegno di legge, sull'esistenza della legge che più di ogni altra avrebbe dovuto essere citata: la legge 26 febbraio 1999, tante "Disposizioni in materia di professioni sanitarie". Viene infatti fatto riferimento al filo professionale, cioè solo a uno dei criteri che il legislatore pone per l'esercizio professionale.
Il legislatore sembra quindi contraddire se stesso e le sue stesse determinazioni della legge agendo in modo episodico e slegato da un contesto complessivo.
Si autorizzano - "è consentito" - gli infermieri ("personale sanitario non medico") alla defibrillazione con apparecchi semiautomatici previa autorizzazione delle aziende sanitarie e ospedaliere nell'ambito del sistema 118 sulla base di linee guida da adottare con decreto del Ministero della sanità.
Analizziamo i punti contraddittori di questa legge e il contesto in cui essa si situa:
La liceità della defibrillazione viene "consentita" al personale infermieristico solo in ambito ospedaliero e non anche in quello intra-ospedaliero. La contraddizione è evidente con i eri individuati dalla legge 42/1999 per l'esercizio professionale. Una volta ricevuta la formazione l'infermiere deve agire in base a questa sia che agisca in ambito extra ospedaliero che agisca in ambito ospedaliero. E del tutto impensabile, alla luce di quanto accade, non prendere la liceità agli infermieri operanti nelle corsie ospedaliere, con particolare riferimento (e terapie intensive e unità coronariche. Vero è che comunque si pub fare riferimento alla
e 42/1999 perla liceità della defibrillazione In ambito ospedaliero, ma questo nuovo articolato è di per sé portatore di confusione;
Il Sistema autorizzato è pleonastico in quanto gli fari IO del D.P.R. 27 marzo 1992 specificava che l'infermiere poteva essere "autorizzato" a "praticare Iniezioni per via endovenosa e fleboclisi, nonché a svolgere le altre attività e manovre atte a salvaguardare le funzioni vitali
previste dai protocolli decisi dal medico responsabile del servizio". Era circa un decennio che questa possibilità autorizzativa era permessa e non ne serviva certo un'altra; l'autorizzazione alla defibrillazione era stata già concessa con semplice decreto e non con legge ordinaria ai "capi-cabina" degli aerei.
Le contraddizioni del legislatore sono confermate anche dai lavori parlamentari preparatori. La confusione concettuale e operativa che il legislatore ha introdotto con questa legge non poteva essere più grande. La defibrillazione si iscrive a pieno titolo in quella categoria gli atti medici delegati che lo stesso legislatore aveva inteso spazzare via con la legge 42/1999 che poneva il limite dell'atto medico come limite invalicabile per l'esercizio professionale delle professioni non mediche.
La legge sulla defibrillazione mostra la sua inutilità tenendo conto che gli i ordinamenti didattici del corso di diploma universitario di infermiere, recepiti con il decreto ministeriale 24 luglio 1996 "Approvazione della tabella XVIII - iter recante gli ordinamenti didattici universitari dei corsi di diploma universitario dell'area sanitaria, in adeguamento dell'art. 9 della legge 19 novembre
1990, n. 341", prevede nella formazione di un infermiere di base al Ill anno, Il semestre l'AREA E - Medicina clinica d'emergenza e infermieristica comportamentale che ha come preciso obiettivo didattico l'acquisizione delle "conoscenze teoriche e principi comportamentali relativi alle attività infermieristiche, comprese quelle proprie delle situazioni di emergenza, per le quali deve essere in grado di applicare, analizzare e sintetizzare le conoscenze relative alla pianificazione, erogazione e valutazione dell'assistenza infermieristica per ma-lati di area critica..." A livello di tirocinio lo studente dovrà svolgerlo anche in area critica allo scopo "di far conseguire capacità professionali l...1 sulla base delle conoscenze (teoriche) e capacità acquisite".
Il problema delle competenze infermieristiche afferenti alle questioni di emergenza non può che essere di carattere evolutivo, tenendo presente che l'abrogata normativa di carattere mansionaria le prevedeva che l'infermiere potesse svolgere le attività di "respirazione artificiale, mas-saggio cardiaco esterno, ossigenoterapia e manovre emostatiche" seguite da immediata richiesta di intervento medico.
Le manovre, sostanzialmente riconducibili all'ABC della rianimazione previste dal mansionario del i 974 non prevedevano la contemporanea presenza del medico per l'inizio delle manovre - come è d'altra parte ovvio - ma solo la richiesta successiva di intervento medico una volta cominciate le manovre o, se altrimenti non possibile, a line manovre. Non si richiedeva cioè una presenza medica per la relativa diagnosi, che ben poteva essere fatta dall'infermiere. Sulla stessa lunghezza d'onda si era collocato il già ricordato D.P.R. 27 marzo 1992 relativa all'organizzazione dei servizi di emergenza che consente all'infermiere un campo di attività che spazia dalla somministrazione per via diretta di iniezioni endovenose odi fleboclisi e di manovre atte a salvaguardare le funzioni vitali sulla base di protocolli precedentemente stabiliti. Anche in questo caso, nulla si dice sulla presenza del medico e sulla sua attività di carattere diagnostico
e prescrittivo.
La defibrillazione con apparecchi semiautomatici, peraltro, non pone problemi "diagnostici" in senso Iato, visto che è la macchina a riconoscere le condizioni del paziente e difficilmente si può in queste situazioni non riconoscere, sulla base degli ordinamenti didattici attuali ma anche pregressi, la competenza infermieristica per manovre del genere. Se poi, sulla base dei principi dell'accreditamento professionale, l'azienda decidesse di implementare corsi di formazione e addestramento, con periodici richiami tendenti a verificare la professionalità acquisita, i l tutto si
inserirebbe nei principi fondanti del recente decreto legislativo 229/1999. Diverso il discorso relativo ai volontari del soccorso che avevano bisogno di uno specifico atto autorizzativo nell'effettuazione di una attività sanitaria di tal fatta. Essi vengono autorizzati se che hanno ricevuto "una formazione specifica nelle attività di rianimazione cardio-polmonare". Questa formulazione
mostra delle carenze evidenti. L'interpretazione letterale porterebbe a dichiarare sufficiente la frequenza al corso cosiddetto di BLS (Basic Life Support) notoriamente dedicato alle problematiche della pura rianimazione cardiopolmonare e non al più idoneo corso di BLSD. Criticabile è comunque anche il secondo comma che attribuisce alle aziende sanitarie e ospedaliere il compito disciplinare gli atti autorizzativi "sulla base dei criteri indicati dalle linee guida adottate dal Ministro della sanità, con proprio decreto, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge".
Il sistema appare farraginose. inutilmente complesso e complicato, che si compone di una
legge, di linee guida ministeriali (da emanare) e di atti autorizzativi locali. Appare molto piii chiari allora il sistema delineato per i capi cabina degli aerei, i quali in base a un semplice decreto ministeriale sono autorizzati alla defibrillazione dopo avere seguito un corso di BLSD il cui programma è riportato in allegato al decreto stesso.
C'è solo da augurarsi che il legislatore non prosegua su strade di deroga per atti il riferimento è ovviamente, in questo caso, alle professioni sanitarie visto che sono sufficienti le norme contenute nelle leggi generali sull'esercizio professionale.
































































































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